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I forchettoni sui freni delle funivie: pratica comune anche in sanità

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 01/06/2021 vai ai commenti

Punto di Vista

La recente tragedia del Mottarone, che ha causato la morte di 14 persone, ha aperto alcuni spazi di riflessione, tanto interessanti quanto inquietanti.

Tutti conosciamo la dinamica del tragico incidente che ha determinato la caduta della cabina: dopo la rottura del cavo trainante, i freni non hanno potuto impedire il dramma perché manomessi; per fare in modo che la funivia continuasse a trasportare passeggeri, gli addetti alla manutenzione hanno bypassato il problema posizionando un “forchettone” sull’impianto frenante, anziché bloccare l’impianto e procedere alla riparazione del guasto.

Tutto questo per i soldi, ovvero per impedire una importante perdita economica alla società che gestisce la funivia.

Abbiamo tutti gridato allo scandalo, che i responsabili andrebbero messi in galera a vita, che non è possibile anteporre il profitto alla sacralità della vita umana.

Eppure queste cose accadono quotidianamente in sanità, senza che nessuno (o quasi) della società civile si strappi le vesti.

Mi spiego.

Ci sono numerosi studi che dimostrano la stretta correlazione tra numero di infermieri presenti in turno e numero di eventi avversi in corsia: al diminuire dei primi aumentano drammaticamente i secondi.

Il primo e più autorevole di questi studi, condotto nel 2007-2010 in numerosi Paesi europei e nel 2013-2014 anche in Italia, grazie all’importante sostegno economico del NurSind, ha dimostrato come rapporto ottimale infermieri/pazienti quello di 1 a 6. Un peggioramento di questo rapporto ha visto un aumento della mortalità dei pazienti a 30 giorni dalla dimissione del 7%, un peggioramento progressivo che raddoppiava aggiungendo al carico di lavoro anche un solo paziente in più.

A rafforzare queste ipotesi è giunto un altro studio, condotto in Australia negli ultimi anni e pubblicato quest’anno su Lancet, che rincara la dose e che attesta ad 1 a 4 il rapporto ottimale infermieri/pazienti nelle corsie ospedaliere.

Nel 2016, nel Queensland, 27 ospedali pubblici hanno implementato i loro organici per raggiungere il rapporto minimo di 1 infermiere dedicato ogni 4 pazienti durante i turni diurni e uno ogni 7 durante quelli notturni nei reparti medico-chirurgici. Gli autori dello studio hanno analizzato i dati del 2016 e poi quelli del 2018, due anni dopo l’attuazione della politica in questi ospedali. E li hanno messi a confronto con i dati di altre 28 strutture che non hanno subito variazioni di personale, restando fissi a quota 6 pazienti per infermiere.

Per valutare gli esiti sono stati verificati dettagli sulle dimissioni, le durate dei ricoveri, i decessi 30 giorni dopo la dimissione, le riammissioni in ospedale entro 7 giorni dall'uscita del paziente.

Nel dettaglio i risultati dell'analisi mostrano che la possibilità di morte è risultata aumentata tra il 2016 e il 2018 del 7% negli ospedali che non hanno implementato la politica sugli organici infermieristici ed è diminuita dell’11% in quelli che invece l’hanno adottata. Le possibilità di secondo ricovero sono aumentate del 6% negli ospedali di confronto nel tempo, ma sono rimaste le stesse negli ospedali che hanno implementato la politica. Tra il 2016 e il 2018, la durata della degenza è diminuita del 5% negli ospedali che non hanno attuato la politica e del 9% negli ospedali che lo hanno fatto.

Ulteriori analisi hanno rilevato che quando il carico di lavoro infermieristico è migliorato riducendosi di un paziente per infermiere, la possibilità di morte e riammissioni è diminuita del 7% e la durata della degenza ospedaliera è diminuita del 3%.

Concludendo e riprendendo il paragone coi fatti del Mottarone citati in apertura, qualcuno potrebbe dire che le scelte scellerate fatte in sanità siano dipese da una volontà di recuperare danaro, di fare in qualche modo profitto o, meglio, esercizio virtuoso di management nelle nostre aziende sanitarie.

Ebbene, lo studio australiano l’ha dimostrato, chi meno spende più spende: laddove le aziende hanno investito sul personale si è potuto registrare una spesa di 33 milioni di dollari australiani contro una spesa che, in caso contrario, per eventi avversi, complicanze, morti e riospedalizzazioni, sarebbe ammontata a 69 milioni di dollari australiani.

È miope, dunque, farsi frenare dal previsto aumento dei costi per le assunzioni.

“La costruzione di una forza lavoro infermieristica robusta - dichiarano in un commento collegato allo studio Amanda Ullman, Università del Queensland, e Patricia Davidson, Università di Wollongong, Australia - è indissolubilmente legata agli esiti dei pazienti e dovrebbe essere centrale nella pianificazione dei servizi sanitari”.