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E’ reato la critica al datore di lavoro tramite gli stati di WhatsApp

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 04/10/2021

Leggi e sentenzeProfessione e lavoro

E’ assodato in giurisprudenza, che parlare male del datore di lavoro nelle chat di WhatsApp, non configuri il reato di diffamazione.

La messaggistica (sia essa WhatsApp, Telegram, Messenger o altra app) è da equiparare a una corrispondenza e, come tale, riservata e segreta
Dunque, non si può né accusare di diffamazione, né licenziare il dipendente che parla male del datore di lavoro all’interno di un gruppo chiuso tra colleghi.
Secondo la giurisprudenza la chat di gruppo è una forma di comunicazione privata in cui i lavoratori possono dare libero sfogo, anche attraverso l’utilizzo di espressioni “colorite”, alla propria insoddisfazione rispetto alla gestione aziendale.
Sia i messaggi scritti che  messaggi vocali indirizzati a un gruppo chiuso sono equiparabili a corrispondenza privata e non possono configurare atti idonei a comunicare pubblicamente affermazioni offensive, discriminatorie o minatorie, con conseguente insussistenza di fatto connotato dal carattere di illiceità - Clicca qui per saperne di più

 

 

Diversa invece è la critica al datore di lavoro se fatta attraverso gli stati di WhatsApp. Lo strumento, di recente applicazione, ha ben altra valenza rispetto alle chat, nonostante la visione sia limitata ai soggetti in rubrica e sebbene la visione può essere ulteriormente limitata.

 

Le affermazioni lesive dell'onore e del decoro della persona offesa enunciate sullo stato di Whatsapp possono integrare il reato di diffamazione se i contenuti ivi presenti sono visibili ai contatti.

A stabilirlo è stata la Cassazione con la sentenza 33219/2021, secondo la quale, la pubblicazione di espressioni lesive e diffamatorie sul proprio stato whatsapp, integra, di fatto, il reato di diffamazione, potendo tali affermazioni essere lette da tutti i soggetti presenti nella rubrica dell'imputato e dotati dell'applicazione. E’ inammissibile come attenuante la questione relativa alla possibilità di escludere la visione dello stato di WhatsApp a tutti o ad alcuni dei contatti presenti, con conseguente limitazione della propagazione delle affermazioni diffamatorie.