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Assente per malattia? Se lo comunichi in ritardo sei licenziato

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 04/06/2025

La SentenzaLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

 

Sentenza n. 13747 del 22 maggio 2025 – Una decisione che rafforza gli obblighi di diligenza per tutti i lavoratori, inclusi gli operatori sanitari.

La Corte di Cassazione alza l’asticella del rigore per i lavoratori in malattia. Con la sentenza n. 13747, depositata il 22 maggio 2025, i giudici di legittimità hanno confermato la possibilità per il datore di lavoro di procedere con il licenziamento disciplinare in caso di assenza ingiustificata, anche quando il lavoratore è effettivamente malato ma trasmette in ritardo il certificato medico. A maggior ragione se si tratta di un comportamento ripetuto.

La pronuncia si fonda su due pilastri: gli obblighi imposti dalla legge e quelli previsti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL). In particolare, è dovere del dipendente comunicare lo stato di malattia entro il giorno successivo all'inizio dell’assenza. Il semplice invio tardivo del certificato non basta a evitare sanzioni: la responsabilità di giustificare ritardi e dimostrare l’effettiva malattia ricade interamente sul lavoratore.

L’obbligo di diligenza non è facoltativo

La Corte richiama esplicitamente l’articolo 2104 del Codice Civile, che impone al prestatore d’opera di usare “la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”. Questo principio, spesso evocato in contesti di negligenza, viene ora applicato anche alla gestione delle assenze per malattia: l’obbligo di correttezza e trasparenza nei confronti del datore di lavoro non viene meno nemmeno in caso di indisposizione.

Quando l’assenza diventa licenziabile

Nel caso esaminato, il lavoratore ha trasmesso il certificato medico con ritardo e non ha fornito spiegazioni convincenti. Per la Cassazione, si tratta di una violazione grave, aggravata dalla reiterazione del comportamento nel tempo. Non solo: la Corte osserva che un’assenza prolungata e ingiustificata può perfino sfociare in una “dimissione di fatto” se supera i 15 giorni, a meno che non ricada effettivamente nel periodo di malattia e sia adeguatamente documentata.

Prova contraria? A carico del lavoratore

L’unica possibile salvaguardia per il lavoratore è fornire prova concreta di un impedimento oggettivo e non volontario. Per esempio: un ricovero d’urgenza, una patologia invalidante, o un evento eccezionale che ha impedito la comunicazione nei tempi previsti. Ma attenzione: questo margine si restringe drasticamente se il comportamento si ripete. In quel caso, il datore di lavoro può legittimamente sospettare una condotta dolosa o quantomeno gravemente negligente.

Implicazioni per il personale sanitario

Per il mondo degli infermieri e degli operatori sanitari, questa sentenza rappresenta un monito chiaro. In un settore dove la presenza in servizio incide direttamente sulla salute pubblica, l’inosservanza delle regole formali può avere ricadute pesanti. Non basta essere malati: serve documentarlo subito, correttamente e senza ambiguità. La giurisprudenza, come dimostra questa decisione, non fa sconti.