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Luca Benci: La somministrazione del mdc non è un puro atto tecnico (sesta parte)

di Luca Benci

 

Quando si esprimono dei pareri si scontenta sempre qualcuno. Lo scorso anno, con il mio intervento (doppio) sul caso Marlia, sono stato additato come “amico dei tecnici di radiologia” in contrasto con i medici radiologi; oggi vengo indicato come colui che si contraddice per dare ragione agli infermieri (contro i tecnici); nella scorsa primavera, all’uscita delle motivazioni della sentenza del Consiglio di Stato sugli infermieri in ambulanza, complice un mio parere recepito nella sentenza e che ha fatto perdere l’Ipasvi di Bolzano, ero un nemico degli infermieri e a favore dei volontari, a inizio di agosto in relazione a un mio articolo su Quotidiano sanità su una circolare del 118 lombardo, sono diventato amico di medici e infermieri contro i volontari…

Potrei continuare, ma mi fermo qui.

La piccata reazione di Paganini e Di Bella non mi farà comunque litigare con i tecnici di radiologia: non ne ho alcun motivo. Non penso che qualcuno, nel mondo TSRM, possa mettere in dubbio la mia onestà intellettuale.

 

Credo che possa essere utile una distinzione sulla “rimodulazione delle competenze”. Nel dibattito attuale si suole distinguere tra “competenze avanzate” e “competenze specialistiche”: le prime consistono nel porre in essere atti meramente tecnici, spesso tecnico-manuali, mentre le seconde sono relative a processi di ampio respiro che permettono una globale presa in carico dei problemi complessivi dei processi e delle attività. In un contesto professionale, è ovvio, si privilegiano le attività specialistiche (senza nulla togliere alle competenze avanzate che però sono attività che riguardano in genere ridotti numeri di professionisti e difficilmente spendibili come progressione professionale).

 

Il rivendicato “premere un tasto” come qualcuno ha scritto nei commenti ai vari interventi indica, al più, per i tecnici, una competenza avanzata. Avere la gestione complessiva del paziente indica una competenza specialistica. Posto che sia corretto parlarne in questi termini. La somministrazione di farmaci che hanno la funzione di mezzi di contrasto non si ferma, infatti, al puro atto tecnico: il personale in servizio deve essere in grado di intervenire in caso di reazioni avverse, deve essere presente personale preparato a riconoscere i primi segni clinici e a gestire le emergenze. Con tutto questo processo diventa, per il tecnico, un’attività specialistica (non per l’infermiere perché è il suo lavoro). Ricordiamo che in tutti gli ospedali italiani le procedure che impongono un consenso informato scritto sono poche e, tra queste, rientrano sempre gli esami contrastografici, per una riconosciuta intrinseca pericolosità post inoculazione.

 

Non credo che questo sia il “campo di attività e responsabilità” del tecnico: è semplicemente un altro “campo”. Penso di essere l’unico che in Italia ha approfondito in modo puntuale con una monografia sugli aspetti giuridici e deontologici sulla prescrizione e somministrazione di farmaci (è appena uscita, tra l’altro, la seconda edizione ampliata e aggiornata) e quindi so di cosa parlo quando parlo di medicinali.

 

I richiami che operano Di Bella e Paganini al See and Treat – che ringrazio per le continue citazioni di miei scritti – non tengono conto proprio del “campo di attività”. Il See and Treat è una variante del triage e del triage avanzato: attività precedente addirittura alla legge 42/99 e presente nei libri da molti anni. Attiene alla presa in carico dei pazienti, alla risoluzione di “emergenze minori” all’interno del pronto soccorso.

 

Le competenze specialistiche non possono che essere attinenti al proprio “campo” di attività e gli sconfinamenti di campo – non le evoluzioni, gli sconfinamenti! – rischiano di produrre mutazione genetiche che producono figure professionali ibride che forse saranno funzionali a determinate organizzazioni a impronta ragionieristica ma non alla qualità e sicurezza delle prestazioni svolte.

 

La questione annosa, poi, della formazione universitaria rischia di essere il vero punctum dolens di tutta la questione vista la riluttanza notoria delle istituzioni universitarie al confronto e alla istituzione di corsi post base a contenute realmente professionalizzante.

Ho citato il lavoro curato da Beux nel 2003 sapendo perfettamente che era una traduzione e che ho correttamente citato come curatore dell’edizione italiana. Ha proprio un maggiore rilievo il fatto che sia un libro americano e non italiano. Spesso, talvolta a sproposito, si dice che all’estero – e gli Stati Uniti sono il riferimento per eccellenza – tutto e diverso e più avanzato. Il prezioso volume curato da Beux e Ciccone dimostra che non è poi così vero.

 

Ultimo, ma non ultimo, ricorderei il profilo assicurativo che di questi tempi non deve in alcun modo essere sottovalutato.

Non vorrei – visto il dibattito in corso - che la querelle delle competenze avanzate e specialistiche diventi una sorta di bellum omnia contra omnes. Di tutto il mondo professionale ha bisogno, che non discutere di ogni singolo atto.

 

Attendo di leggere le motivazioni della sentenza di assoluzione dei tecnici sul caso Marlia ricordando i veri nodi del problema: una parte del mondo professionale medico che mette in discussione, non un altro campo di attività, ma il “campo di attività e responsabilità” proprio del tecnico con il dichiarato fine politico di circoscriverne l’attività e subordinare il tecnico al medico specialista. Si è contestato ai tecnici di radiologia la possibilità di effettuare, in autonomia, semplici radiografie al torace! Altro che mezzi di contrasto…

 

Rivendicare una sorta di competenza avanzata consistente nel “premere un tasto” dietro ordine del medico rischia di essere funzionale a questa politica di retroguardia che ha visto nello scandaloso caso di Marlia l’episodio più eclatante.