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Rosaria Palermo, Infermiera, risponde alle Dieci Domande...

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Pubblicato il: 04/10/2014

Dieci Domande

Risponde alle Dieci Domande ROSARIA PALERMO, Infermiera da vent’anni.

Rosaria ha 44 anni, lavora presso l’ARNAS Garibaldi Catania, dove si occupa part-time di Infezioni correlate all’assistenza oltre a lavorare in corsia prestando servizio in Nefrologia.

Ha una laurea magistrale ed un master in Coordinamento.

Parla un’inglese fluente, è appassionata di lettura e di varie forme di arte audio visiva.

Fa parte, inoltre, del Direttivo provinciale del NurSind Catania e per quest’ultimo svolge anche la funzione di Addetto Stampa.

 

Rosaria, invece, preferisce presentarsi così:

Descrivere se stessi in maniera concisa è un’impresa ardua. In queste circostanze mi ritorna sempre alla mente una poesia bellissima di Wislawa Szymborska, che si chiama “Curriculum”, e che ad un certo punto recita: “Scrivi come se non parlassi mai con te stesso e ti evitassi. Sorvola su cani, gatti e uccelli, cianfrusaglie del passato, amici e sogni. Meglio il prezzo che il valore e il titolo che il contenuto”.

Quindi, sorvolerò sui titoli accademici e sul C.V., per dire semplicemente, che mi chiamo Rosaria Palermo e che sono un’Infermiera, ricordando il mio primo colloquio di lavoro.

Appena diplomata in Ragioneria, fui convocata presso la filiale catanese di un grande Istituto bancario per sostenere un colloquio e alla domanda sul tipo di lavoro che avrei voluto fare risposi: “un lavoro che mi dia la possibilità di stare accanto alle persone”. Come andò a finire? Non lavoro in banca, ma a contatto con le persone, come desideravo già da allora.

Ritengo che la nostra professione richieda grandi cambiamenti, ma questi ultimi richiedono energia, perseveranza e tenacia, doti queste che non mi mancano e che io metto quotidianamente al servizio della professione, dei pazienti e del Sindacato, da quando è iniziata questa avventura con il NurSind.

Ricordo sempre ai colleghi, che noi Infermieri, abbiamo un grande privilegio e al contempo una grande responsabilità, quella di assistere gli ammalati, in uno dei momenti di più grande fragilità del loro percorso esistenziale. Uno dei miei insegnanti di Infermieristica, soleva dirci che il Medico cura la malattia e l’Infermiere cura l’uomo. E dopo vent’anni di lavoro, continuo a ritenere quelle parole vere più che mai.

Sono, per finire, una di quelle Infermiere che pensano che lo scatto nella nostra professione debba essere culturale, prima di ogni cosa. Nelson Mandela diceva che la conoscenza è l’arma più potente di cui gli esseri umani dispongano, ed è ciò che permetterà alla nostra professione di ritagliarsi gli spazi che le competono.

 

 

Pensare la nostra professione per la nostra professione: dieci domande agli Infermieri

Progetto di InfermieristicaMente: DIECI DOMANDE AGLI INFERMIERI

di Chiara D'Angelo

Risponde ROSARIA PALERMO, Infermiera

 

1. Quali sono per te i problemi più rilevanti che oggi hanno gli infermieri

Il problema più rilevante, che ci riguarda come professionisti Infermieri, è di natura identitaria. Credo che in questi ultimi anni, abbiamo lasciato fare e abbiamo permesso che troppe cose succedessero senza fermarci un attimo a riflettere. Dall'abolizione del mansionario in poi, solo silenzio. Ma un silenzio gravido di conseguenze. Anziché essere, quest'ultima, un'occasione di slancio per appropriarci di spazi, nella pratica già nostri, ci siamo posti in attesa. E dopo quasi un ventennio, ci ritroviamo stanchi e delusi a riflettere su noi stessi. Riflessioni amare che ci portano a parlare di demansionamento e crisi d'identità e di riconoscimento sia interno alla professione, sia di riconoscimento popolare della stessa. Si perché, ad oggi questo è forse, il problema più rilevante con cui fare i conti. È da questo che scaturiscono a cascata tutti gli altri, il demansionamento o lo sconfinamento in professioni altrui, vedi quella medica, e per finire il misconoscimento dello status di Infermiere, anche attraverso gli stipendi miserrimi che ci vengono corrisposti.

 

2. Come risolvere questi problemi, cioè con quali idee, proposte e progetti

Il problema dell'identità, ossia di come giudichiamo e pensiamo noi stessi e di come ci vedono e ci valutano gli altri, la dice lunga sulla sofferenza che ci portiamo dietro come professionisti. Per alcuni colleghi siamo ancora dei professionali, ed è in fondo quello che pensano di noi la maggioranza degli utenti, i quali (e non è certamente per colpa loro) pensano che un infermiere sia tale, senza conoscerne il percorso di studi. Cosa peraltro che stentano a riconoscere anche i nostri cari Dirigenti Medici, i quali di fronte ad un Infermiere in possesso della laurea triennale o magistrale, continuano ad ignorare quel titolo di studio ritenendolo inferiore al loro, e noi, purtroppo fatichiamo ad imporci in tal senso subendo con fatica, la sindrome da figli di un Dio minore. Come superare tutto ciò? Riconoscendo il peccato originale che ci affligge e partendo da li. Abbiamo una didattica scadente e variegata. Con la scusa del riconoscimento didattico degli Atenei abbiamo creato percorsi di studio di serie A e percorsi di studio di serie B. In Italia non si troverà un solo Ateneo con percorsi di studio simili, e come se non bastasse molti dei corsi di laurea triennale e magistrale sono organizzati e gestiti da medici, i quali sapranno bene cosa compete alla loro professione, ma siamo sicuri che sappiano quello che un infermiere è e ciò che dovrebbe fare?

 

3. Quali soluzioni organizzative si dovrebbero adottare per mettere in campo una qualche azione collettiva

Intanto rendersi conto una volta per tutti, che bisogna scendere in campo con progetti concreti ed innovativi ed affidati agli stessi Infermieri, partendo dalla formazione per arrivare all'inserimento e alla gestione diretta del personale. Fare banchmarking, confrontarsi con gli altri paesi europei ed anche con i paesi che hanno una grande tradizione in Infermieristica. Tutto questo, va fatto dai Collegi Ipasvi, Sindacati, con il coinvolgimento alla base degli Infermieri.

 

4. Quali iniziative collettive si renderebbero necessarie

Lo si suggerisce qualche domanda più avanti, creare una sorta di Stati generali degli Infermieri e mettere in campo idee e discuterne fino all'approvazione di una proposta di riorganizzazione che metta al centro, davvero il paziente, e i professionisti che sono al suo servizio. Questo vorrebbe dire che non si può risparmiare sul personale Infermieristico o di supporto, ma che si deve investire in quest'ultimo, tanto più che la popolazione sta invecchiando sempre più ed è gravata da polipatologie che rendono gli ultimi anni di vita insostenibili per chi non ha possibilità economiche. Tagliare lo stato sociale imitando i paesi avanzati solo nelle scelte peggiori, non onora ne il Paese che compie quelle scelte, ne il Paese che si vorrebbe imitare.

 

5. “Unità, Progetto, Politica” per te cosa significano

Unità, vuol dire guardare tutti nella stessa direzione, Collegio Ipasvi, Sindacati e base sempre più sfiduciata e vecchia, cronologicamente parlando.

Progetto, vuol dire mettere in campo proposte serie su formazione, competenze e riappropriazione di quella dignità professionale, che rende questa professione una delle più belle che si possano fare. Riconquistare il senso di bellezza e della fiducia in un lavoro che dà soddisfazioni come pochi e remunerare l'impegno e la formazione, come si conviene a professionisti che portano avanti percorsi di studio lunghi e impegnativi.

Politica, vuol dire non demandare, tout court, ad altri ciò che ci compete quando c'è da fare delle scelte che ci riguardano, che in sintesi vuol dire mettere gli Infermieri come consulenti necessari nelle Commissioni in cui si discute di Sanità e riorganizzazione delle professioni sanitarie.

 

6. Cosa pensi della proposta di organizzare gli Stati Generali degli Infermieri

Credo sia una soluzione non più rinviabile. Non possiamo lasciare che altro tempo passi, se non vogliamo mettere a repentaglio la salute dei cittadini, l'autostima degli Infermieri stessi e il futuro di una Sanità, che era fiore all'occhiello del vecchio continente e che invece, non riesce a risolvere problemi atavici e ormai non più rinviabili.

 

7. Cosa si dovrebbe fare per prepararli adeguatamente

I Sindacati che hanno un contatto con la base dovrebbero confrontarsi tra di loro, favorendo l'intervento diretto della stessa, chiedendo di proporre soluzioni. La fase successiva dovrebbe essere quella di coinvolgere l'IPASVI e fare in modo che sia rappresentativo davvero delle istanze dei propri iscritti. Stimolare il dibattito sugli organi di stampa, comprando delle pagine sui più grandi quotidiani e chiedendo un confronto, con le Istituzioni. L'alternativa è un peggioramento continuo della qualità dell'assistenza. È giunto il momento che i nostri rappresentanti politici ci dicano se vogliono difendere e migliorare il S.S.N. o se vogliono un sistema alternativo, in questo caso, credo si debba essere onesti e non smantellare sotto mentite spoglie il S.S.N. a colpi di riforme, di cui proprio nessuno sente l'esigenza. Io provengo da una terra ricca di contraddizioni, la Sicilia e quando penso a ciò che ci viene prospettato come professionisti e come cittadini, non posso non pensare ad un grande scrittore siciliano, Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, il quale nel suo libro più noto, fa dire al nipote del Principe di Salina, Tancredi, la storica frase: "..tutto cambia perché nulla cambi". E francamente, mi rattrista tutto ciò.

 

8. Sintetizza in tre parole quello che chiederesti ai Collegi

Impegno, impegno e ancora impegno. Presenza. Così come sono, sembrano dei carrozzoni inutili e lontani dalle problematiche degli stessi professionisti che dicono di voler rappresentare.

 

9. Sintetizza in tre parole quello che chiederesti ai Sindacati

Impegno, impegno ed ancora impegno nel rappresentare le istanze dei lavoratori che rappresentano, chiedendo un giusto aumento salariale. I professionisti preparati e competenti devono essere ben pagati. Ed unità di intenti. Basta con le piccole schermaglie che non portano a nulla. Tutti i rappresentanti sindacali degli Infermieri, non sono in fondo Infermieri, o no?

 

10. Mi descrivi succintamente la tua idea di infermiere del terzo millennio

Un professionista preparato, che non abbia timore di confrontarsi con gli altri professionisti della salute. Che sappia cogliere le opportunità dai momenti di crisi, come adesso. Un professionista che scelga questa professione come la professione della sua vita e non come un ripiego, perché non è riuscito a fare altro. Un professionista che sia orgoglioso di dire, faccio l'Infermiere e mi prendo cura di te, caro paziente, non solo nei momenti di debolezza e fragilità, ma mi curo di te ancor prima che tu possa varcare la soglia di un ospedale, fornendoti gli strumenti per vivere più a lungo e aggiungendo qualità alla tua vita. Infermieri che sappiano approfittare delle opportunità che la tecnologia gli mette a disposizione per far sentire la propria voce dalla base. Vorrei che l'infermiere del terzo millennio sapesse confrontarsi con gli altri colleghi europei, e fosse in grado di riappropriarsi degli spazi di rappresentanza nei desideri dei bambini, su quello che potrebbe essere il lavoro che vorrebbero fare da grandi. È il desiderio di cambiamento che deve muovere gli Infermieri e non la speranza. Il desiderio ha anche fare con la propositività, la speranza con la rassegnazione ed io non mi voglio rassegnare ad essere un professionista di serie B. Nel momento in cui lo facessi, credo che potrei cambiare lavoro o Paese. E non vorrei fare nessuna delle due cose.

 

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