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Cavicchi agli infermieri: cercate la coevoluzione con i medici invocata da Pisa, non la "guerra dei bottoni" proposta dalla FNC IPASVI (quarta intervista)

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 10/01/2017 vai ai commenti

Articolo 49 e DemansionamentoLe interviste

Apriamo il 2017 con una nuova intervista rilasciata dal professor Ivan Cavicchi sul tema cruciale della riforma della professione.

Stavolta il focus dell'intervista riguarda i rapporti tra professioni, in particolare tra medici e infermieri, così come vengono intesi, secondo l'analisi di Cavicchi, nella proposta di Revisione di Codice deontologico (Clicca) e nella Relazione programmatica 2017 della Federazione Nazionale IPASVI (Clicca) e nella bozza di proposta di revisione del Codice deontologico elaborata dal Collegio provinciale IPASVI di Pisa.

Coerentemente con le opinioni da tempo ed anche nelle più recenti circostanze espresse, Cavicchi è estremamente critico verso la posizione della FNC IPASVI, ostinata, secondo il professore, a voler puntare sulla guerra di competenze in un sistema in cui l'organizzazione del lavoro rimane invariante; una "guerra dei bottoni" autolesionista e destinata a fallire.

Il progetto vincente, invece, secondo Cavicchi è quello proposto dal Collegio IPASVI Pisa (Clicca), con l'ormai noto documento, secondo il quale le professioni (medici e infermieri, ma non solo) devono "coevolvere" in un ridefinito quadro organizzativo, che costituisce parte fondamentale e irrinunciabile per la riforma.

Avanzando proposte forti e convincenti, commenta Cavicchi, il dialogo e la coevoluzione di medici e infermieri è non solo possibile ma necessaria.

Un'interessantissima intervista alla cui lettura vi lasciamo con piacere e per la quale ringraziamo ancora il professor Cavicchi (Professore all'Università di Tor Vergata ed esperto di politiche sanitarie).

 

QUARTA INTERVISTA AL PROFESSOR IVAN CAVICCHI

di Chiara D'Angelo

 

Bene professore, le feste natalizie sono passate e sono contenta di tornate a discutere con lei del Codice deontologico di Pisa. Indubbiamente una delle proposte più interessanti e innovative che abbiamo in campo. Dopo il Convegno di Pisa sul Codice Deontologico pare, tuttavia, che questa proposta debba vedersela con “quell’embargo” di cui lei ci ha parlato e del quale la professione, tutta, sembra prigioniera. Nel frattempo come lei saprà la Federazione, con tanto di approvazione da parte del Consiglio nazionale, ha reso pubblica la relazione programmatica 2017.

L’embargo è di fatto una situazione di isolamento culturale imposto alla professione da un gruppo dirigente interessato unicamente al mantenimento del proprio potere. E’ l’orbo che per rimanere Re impone a tutti l’obbligo di cavarsi gli occhi. La vostra Federazione non dovrebbe chiamarsi Ipasvi ma Ipnv “infermieri professionali non vedenti”. Quanto alla relazione programmatica altro non è se non una dichiarazione di guerra di infermieri, non vedenti per l’appunto, contro i medici, piena di forestierismi per impressionarci un po’.

 

Una delle tante caratteristiche innovative della proposta di Pisa è la parte dedicata ai rapporti con le altre professioni, in particolare con i medici. Ben due capitoli sono dedicati a questo problema. Mentre nella proposta di Codice della Federazione quasi niente, cioè a malapena una frase e mezzo. Perché secondo lei questa differenza?

Per due ragioni fondamentali, una vecchia e una nuova. Nella proposta di Codice della Federazione l’infermiere resta ontologicamente un attache della professione medica, cioè un allegato esecutivo. Per cui non serve descriverne i rapporti. Restano quelli storici che sono tra sopravenienza medica e subvenienza infemieristica. Su questa base oggi si innesca il pregiudizio del riscatto sociale dell’infermiere dal medico, che la relazione programmatica 2017 ripropone nel capitolo “linee di sviluppo delle politiche per la professione”. Il risultato è uno strano matrimonio tra invarianza e pregiudizio, dove l’obiettivo è sottrarre competenze ai medici e autonomizzarsi come se medici e infermieri fossero dei separati in casa. L’infermiere e il medico, per usare il linguaggio cinematografico, diventano uno il “contro campo” dell’altro. Una aberrazione.

 

Ma professore la Federazione ha sempre detto il contrario dichiarando a tutti i venti la sua disponibilità all’interdisciplinarietà…

Che l’abbia dichiarato e ribadito, anche recentemente con la relazione programmatica, e che esista una interdisciplinarietà inevitabile non ho dubbi, ma noi stiamo parlando della sua proposta di Codice dove a questa dichiarata volontà non segue nessuna disposizione significativa. Lo ha detto lei che su questo argomento è stata scritta una riga e mezzo.

 

Probabilmente si tratta di una omissione da parte della Federazione del tutto recuperabile, infatti nella relazione programmatica si parla esplicitamente di interprofessionalità…

Non si tratta di omissione ma semplicemente di una vecchia visione atomistica della professione, dove ogni professione è definita come le dicevo per “contro campi”, dove l’organizzazione del lavoro è una somma di professioni, dove le diverse formazioni sono rigorosamente separate, dove ognuno pensa a sè ecc. Ineffabile è quel passaggio nella relazione programmatica dove sulla base di una sibillina distinzione tra “sapere e professione” si dice che l’infermiere deve assicurarsi una “esclusività”, una “regia diretta”, una “regia indiretta”. Resta da capire dove inizia e dove finisce il sapere degli infermieri.

 

Eppure, insisto, proprio nella relazione programmatica tra le varie questioni affrontate c’è un punto dedicato proprio ai nuovi rapporti interprofessionali…

Ma lei l’ha letta bene quella relazione? Quel punto dedicato a cui lei si riferisce prima di tutto è dentro un discorso dove si parla di “nuovo professionalismo”, ma non nel senso che propone Pisa bensì nel senso delle competenze avanzate. I nuovi rapporti interprofessionali sono intesi come:

  • indebolimento delle giurisdizioni professionali cioè… del ruolo del medico;
  • ruoli più flessibili cioè… ruolo del medico riducibile;
  • confini più permeabili cioè… abolizione dei confini con i medici;
  • crescita degli altri professionisti… cioè crescita solo dell’infermiere;
  • lavoro d’equipe… cioè come somma di professioni separate.

 

Ma scusi allora qual’è l’idea di interprofessionalità della Federazione?

E’ quella tipica del taylorismo che non è esattamente una concezione integrata del lavoro, ma una somma di compiti contigui e giustapposti. L’ideale della Federazione è il “taylorismo competitivo” dove l’obiettivo è cambiare le competenze nel senso della composizione professionale del lavoro, il famoso “skill mix change” con lo scopo di fare task shifting e togliere competenze ai medici.

 

Quindi, secondo Lei, la Federazione ci ripropone un comma 566 sotto mentite spoglie…

Esattamente. Si ritorna alla guerra delle competenze. Basta far caso al linguaggio della relazione programmatica:

  • terreno di gioco” come terreno di scontro,
  • ”riposizionare” le professioni,
  • “presidiare” gli spazi professionali,
  • ”finestre di opportunità” da sfruttare
  • allargare il perimetro” delle competenze professionali
  • riempire il perimetro” delle competenze professionali ,
  • ”presidiare” le competenze,
  • sviluppare le aree di confine” ecc.

La relazione programmatica rilancia la guerra delle competenze e questa volta si fa spalleggiare niente meno che dalla Bocconi che, come è noto, è specializzata dietro lauti compensi nel legare l’asino dove vuole il padrone. Vi consiglio di leggere cosa scrive Oasi del Cergas Bocconi sulla composizione professionale del personale sanitario e sulla task shifting.

 

Ma che possibilità ci sono per la Federazione di vincere la guerra delle competenze contro i medici?

Nessuna. Ed è proprio questo l’aspetto perverso. Fino a nuove elezioni non credo che il Governo si metta nei guai avallando una guerra tra professioni. Dopo le elezioni immagino che il Pd, che è stato uno dei massimi responsabili del comma 566 e che per questo ha pagato pegno, non sia così scemo da dare seguito per quattro voti ad un corporativismo basato sul riscatto sociale di una professione contro un’altra. Sarebbe una follia.

Poi ci sono i medici. E’ vero che sul 566 all’inizio la Fnomceo ha avuto un atteggiamento arrendevole pagando il prezzo di forti condizionamenti politici proprio del Pd, ma poi ha dovuto assumere una posizione sempre più intransigente a causa del dissenso interno che stava crescendo e che, se non sta attenta, proprio oggi rischia di allargarsi ancora di più, forte della crisi più generale in cui versa la professione. Quindi possibilità zero.

 

Ma se così fosse questo professore si tratterebbe di autolesionismo…

Lo chiami come vuole ma è un fatto che siamo al delirio, alla ossessione di una Federazione dominata dall’invidia contro i medici che considera nemici giurati e che alla fine, gratta gratta, odia gli infermieri dal momento che vuole che essi siano altro da quello che dovrebbero essere, cioè infermieri. L’ideale di questo disegno delirante è abbandonare la massa all’ausiliarietà e fare una élite paramedica. In un articolo li ho definiti i cyber nurser. Una follia che a fronte della gravità della questione infermieristica si appaga di poter chiamare Ordini i Collegi, come quelli dei medici. Non ho mai visto tanto disprezzo e risentimento verso la vostra professione come quello che si intravede dietro a questo folle disegno.

 

Dopo le precedenti interviste io personalmente ho ricevuto segnali di interesse e di disponibilità da parte di certi medici nei confronti della proposta di Pisa, non potrebbe essere questa la strada da seguire?

Per me la coevoluzione che propone Pisa è l’unica strada possibile, ragionevole e praticabile. Oltretutto vorrei ricordare che il comma 566 prevede un dispositivo che fa dipendere l’esito della sua applicazione dalla concertazione con i medici. Per cui quel comma senza concertazione è carta straccia. Ma ciò ai medici dà un potere di veto senza precedenti. Questo vuol dire che se gli infermieri vogliono fare un accordo con i medici questo andrebbe fatto sul terreno della coevoluzione, della compossibilità, della proscrittività, ma non su quello del skill mixe chance e della task shifting che propone la Federazione.

 

La proposta di Pisa potrebbe essere quindi un buon terreno di incontro tra professioni?

Senz’altro. Pisa fa quello che un Governo serio dovrebbe fare, cioè creare le condizioni per fare un accordo unitario tra professioni:

  • parte da una ridefinizione di servizio intendendolo non come un insieme ma come un sistema pluri-professionale organizzato;
  • ridefinisce l’organizzazione del servizio sulla base delle relazioni di cura tra le prassi;
  • supera l’idea di collaborazione tayloristica della Federazione e pone il problema del coordinamento delle prassi;
  • vincola le prassi diverse ad un comune principio del malato, nel senso che tutte le prassi devono ispirarsi alla stessa concezione di malato (non ha senso che i medici vedono il malato in un certo modo e gli infermieri in un altro);
  • definisce lo scopo finale del servizio, non attraverso i compiti ma attraverso la loro cooperazione parlando di tutela medico-sanitaria del malato quale risultato finale.

La proposta di Pisa è una cosa seria, difficile da ignorare.

 

“Il servizio”, leggo dal Codice di Pisa, “è per definizione un sistema di prassi attese tenute insieme da rapporti di cooperazione.

Brava proprio così. Comprende ora la distanza culturale che divide la proposta di Pisa da quella della Federazione? E da quella della Bocconi? Su un terreno del genere io credo che i medici sarebbero interessati a discutere. Pisa vuole integrare, la Federazione vuole dis-integrare.

 

A proposito di integrazione, se non ricordo male professore, nella proposta di Pisa si arriva a distinguere il concetto di interazione da quello di integrazione. Perché questa distinzione?

Perché non basta una definizione generica di integrazione, bisogna distinguere le forme delle relazioni professionali sulla base di come sono agite le prassi e quindi almeno sulla base di due diverse situazioni:

  • la prima è quando le professioni decidono insieme, cioè sono dentro relazioni contestuali (per esempio durante la visita, la programmazione del lavoro, la discussione dei casi ecc. );
  • la seconda è quando le professioni una volta condivise le decisioni operano separatamente e autonomamente.

Nel primo caso si parlerà di interazione nel secondo caso di integrazione. L’interazione è tendenzialmente orizzontale mentre l’integrazione è tendenzialmente verticale. Sono due modi diversi di esercitare il proprio ruolo e la propria autonomia. Questa cultura dell’integrazione nella relazione programmatica non c’è.

 

Quindi, secondo lei, sul terreno della coevoluzione professionale è possibile un accordo con i medici?

Senz’altro. Non vedo ostacoli. Anzi le dirò che sarebbe auspicabile. La coevoluzione non è resa necessaria per rispondere alle pretese di qualcuno, ma prima di tutto per adeguare le professioni ai cambiamenti che in qualche modo le condizionano. La coevoluzione va fatta a prescindere dalle paturnie dell’Ipasvi. L’ipasvi nello scenario della questione professionale è il problema più piccolo.

 

Ma cosa intende esattamente per coevoluzione?

La coevoluzione è il processo di cambiamento congiunto di più professioni operanti nello stesso servizio, al punto da costituire ciascuna un fattore di cambiamento per l'altra, con il risultato di condividere una crescita professionale comune, attraverso un cambiamento concordato della loro organizzazione del lavoro. Nella realtà reale nel momento in cui il ruolo dell’infermiere dipende da quello di altri ruoli professionali è inevitabile che essi condividano un principio di coevoluzione. Qualsiasi ruolo per esprimersi deve per forza rapportarsi ad altri ruoli. Il ruolo del padre dipende dal ruolo del figlio e viceversa così quello del marito rispetto a quello di moglie o di maestro e di allievo.

 

Ma la coevoluzione intesa come cambiamento congiunto, professore, non andrebbe messa in rapporto al principio proscrittivo di cui ci ha parlato nella precedente intervista? Si evolve solo se ci sono possibilità di evolvere.

Brava ha colto davvero nel segno. La coevoluzione dei ruoli è la base di qualsiasi progetto di riorganizzazione e qualsiasi progetto di riorganizzazione può svilupparsi solo in una logica proscrittiva, cioè accrescendo le possibilità dell’organizzazione stessa. Essa rappresenta un potenziale di cambiamento straordinario, tanto per i medici che per gli infermieri. Si apre uno spazio enorme alla soluzione dei problemi di tutti. In sostanza agendo sulla leva dell’organizzazione si tratta di trovare le soluzioni ai problemi dei medici e ai problemi degli infermieri senza che qualcuno ci rimetta anzi al contrario.

 

Va bene professore ma le ricordo l’Ordine dei medici di Bologna, le vicende del 118 e quelle più recenti delle Case della salute e le prese di posizione di Roma contro il See and Treat. Non mi pare che in questi casi si abbia voglia di coevolvere non le pare?

L’interdipendenza tra ruoli può essere un fattore di crescita coevolutiva per le varie professioni, ma nello stesso tempo può essere un fattore che blocca per ragioni di invarianza questa crescita. Se la professione medica resta invariante e quella infermieristica vuole cambiare è chiaro che sorge un conflitto. Tuttavia nessun ruolo, a partire dai medici, può in alcun modo condizionare in negativo l’espressione dei comportamenti professionali attesi degli infermieri, in particolare se si tratta di applicare e di rispettare delle leggi. Oggi il problema è che il ruolo classico del medico ostacola quello atteso descritto per Legge dell’infermiere. Ma il ruolo classico del medico oggi è il primo problema che il medico ha, perché è sotto tanti punti di vista ampiamente regressivo, cioè inadeguato rispetto ai cambiamenti della società. Per cui tanto i medici che gli infermieri hanno interesse a far coevolvere i ruoli dentro nuove organizzazioni del lavoro. Il problema è di ruoli non di competenze.

 

Lo so professore, ma di Roma e di Bologna che mi dice?

Calma e gesso. Vediamo prima di tutto se i casi che lei cita sono da considerarsi coevoluzione o altro. A me pare che tutti i casi che lei cita, soprattutto dopo il fallimento del negoziato nazionale sul comma 566, siano misure di task shifting messe in campo unilateralmente dalle Regioni per ragioni finanziarie. Che tali misure per l’Ordine di Bologna non costituiscano una coevoluzione non mi meraviglia. Rammento che la stessa Regione con la stessa logica ha fatto una delibera per assegnare competenze avanzate ai caregiver. Non mi pare che gli infermieri di Bologna abbiano interpretato questa misura come una coevoluzione. Quindi non confondiamo le cose. Intanto ricordo che nella relazione programmatica la Federazione parla esplicitamente di “sviluppare la leadership clinica degli infermieri”. Non credo ragionevole pretendere che l’Ordine di Bologna dica grazie a chi gli vuole rubare il cappello. Siamo seri.

 

Lei ci sta dicendo che...

Io le sto dicendo che un conto sono le competenze avanzate e un conto è il discorso della coevoluzione. Nessuno è andato all’Ordine di Bologna a proporre un’altra organizzazione del lavoro, un’altra concezione di servizio, altri ruoli, altre prassi, altre autonomie. A chi vuole cambiare spetta l’onere della proposta. La proposta della Federazione è chiara: a sistema invariante si tratta di riaprire la guerra delle competenze. Vorrei dire a scanso di equivoci che personalmente non ho nulla contro alcune riassegnazioni di competenze, soprattutto se preventivamente concordate e condivise, ma non posso biasimare chi a fronte di un tentativo, per altro maldestro, di espropriazione risponde difendendo le proprie prerogative storiche. Siano essi medici o infermieri. Nel suo libro “Il riformatore e l’infermiere – il dovere del dissenso” (Clicca) credo di aver argomentato con dovizia di argomenti la mia contrarietà alla logica delle competenze avanzate, a quella della task shifting e a quella che, proprio in quel libro, definisco “la guerra dei bottoni” e che la Federazione, parlando attraverso la Bocconi, definisce skill mixe change. Lo skill mixe change è una guerra dei bottoni.

 

Allora professore ci dica come si può coevolvere andando oltre la guerra dei bottoni?

Non ve lo dico io, ma ve lo dice la proposta di Pisa: bisogna diventare promotori di progetti di riorganizzazioni del lavoro che puntino a riformare i rapporti di collaborazione tra i ruoli professionali, in modo da sostituire gli attuali rapporti di ausiliarietà con rapporti tra autonomie reciproche e da sostituire dei semplici rapporti basati sulla contiguità e sulla giustapposizione dei compiti con rapporti basati sull’interdipendenza dei ruoli.

 

In sostanza…

In sostanza fatevi sotto e sfidate i medici sul terreno di una forma nuova di cooperazione interprofessionale. L’unica guerra che va fatta è contro il taylorismo. Se vi diranno no potrete dire che sono dei fottuti conservatori. Se vi diranno no e siete convinti di avere ragione date battaglia senza quartiere, ma per cambiare le cose forti delle ragioni del cambiamento. Dire no alle competenze avanzate è giustificato, ma dire no alla coevoluzione è ammettere un reato di indisponibilità e danneggiare tutti, e quindi passare dalla parte del torto. E poi un consiglio: occhio all’equilibrio di Nash .

 

Oh Signur professore questa ci mancava… che cosa è l’equilibrio di Nash?

Non si spaventi. In parole povere la coevoluzione delle professioni vince se offre a tutte le professioni in ballo delle soluzioni nelle quali i ruoli pur ripensati sono in equilibrio. Nash era un matematico americano che si occupava della teoria dei giochi. Oggi i medici e gli infermieri sono come cani e gatti, bisogna far in modo di ricercare un nuovo equilibrio, nel quale tanto i medici che gli infermieri abbiano un vantaggio significativo. Il comma 566 ha avuto un effetto che dire perverso è poco. Esso ha trasformato quella che era una relazione cooperativa tra medico e infermiere in una relazione conflittuale. Nei giochi cooperativi come lei sa si possono fare accordi, che si assumono a priori come vincolanti, per esempio un certa organizzazione del lavoro, una certa divisione dei compiti, una certa metodologia ecc. ma con il comma 566 questo accordo a priori non c’è stato, per cui la faccenda è degenerata in un gioco conflittuale dove alla fine l’unica cosa che si può fare è la guerra. Scusi ma lei se la immagina la relazione tra medico e infermiere come una relazione non cooperativa?

 

Quindi professore, tornando alla coevoluzione, lei dice in pratica che il problema dei rapporti tra medici e infermieri non si risolve con le competenze avanzate ma con nuovi equilibri…

Una idea nuova che vorrei introdurre è quella di equilibriocorrelato nella quale i medici e gli infermieri non ragionano più per competenze ma per possibilità operative definite nel rispetto dei ruoli e coordinate da un’unica e comune strategia organizzativa, in modo tale che nessun operatore ha interesse a deviare da essa. Questa strategia per forza deve essere cooperativa e l’organizzazione del lavoro di cui essa necessita per forza deve essere cooperante, quindi essere post tayloristica.

 

Questa idea di “equilibrio correlato” è davvero molto interessante, ma professore a parole sembra tutto facile, ma lei i medici li conosce meglio di me… Non sono così aperti alla coevoluzione perché, per quel che vedo, non vogliono evolvere e basta, non ci riescono. Sono fatti per non cambiare.

Evitiamo per favore le generalizzazioni e cerchiamo di ragionare. I medici come chiunque altro si aprono al cambiamento solo se sono costretti a farlo e solo se non hanno altre via di uscita. Ma non credo che voi infermieri siate diversi. Non mi venga a dire che chi ruba le galline nel pollaio del vicino è un riformatore. Per essere dei riformatori ci vuole ben altro. Da quando è stato abolito il mansionario non avete fatto nulla per cambiare veramente le cose e oggi non è un caso se vi ritrovate a fare i ruba galline. Non mi interessa di chi è la colpa. Voi come professione siete pietrificati dalla vostra invarianza esattamente come i medici. Non è un caso se esiste sia una “questione infermieristica” che una “questione medica”.

 

A proposito di “questione medica” lei su questa cosa ha scritto un e-book di grande successo…

Se vi leggete questo e-book (Clicca) scoprirete una cosa straordinaria e cioè che gran parte di quello che vale per la “questione medica” vale anche per la “questione infermieristica”. Sia i medici che gli infermieri hanno un problema di ruolo, entrambi sono le prime controparti del definanziamento, entrambi rischiano di essere amministrati, entrambi hanno problemi di identità, entrambi operano in organizzazioni sempre più carenti, entrambi sono inadeguati ai cambiamenti in corso, entrambi sono formati male ecc. Ma se questo è vero (ed è vero glielo assicuro) vuol dire che esiste una sola ed unica questione professionale e che quei personaggi che soffiano sul fuoco della contrapposizione sono degli “struscia bidoni”, che sfogano sulla professione le loro insanabili invidie sociali e le loro frustrazioni personali per problemi irrisolti di personalità.

 

Eh però professore, gli infermieri hanno certi problemi e i medici altri…

Intanto le faccio notare che nella relazione programmatica della Federazione non compare mai l’espressione “questione infermieristica”. E questo non è un dettaglio da poco. La Federazione non vuole fare i conti con la storia perché la questione infermieristica è prevalentemente roba sua, cioè il risultato delle sue manchevolezze. E’ vero quello che lei dice che esistono delle specificità professionali, ma è anche vero che se andiamo oltre le apparenze scopriamo che esiste una sola fondamentale “questione professionale”, perché oggi è il lavoro sotto attacco delle politiche di definanziamento, sono le prassi tutte a rischio di essere amministrate per ragioni economicistiche, sono le autonomie professionali in pericolo di essere condizionate da un eccesso di proceduralismo.

Aprite gli occhi sono più le cose che vi uniscono ai medici che non le cose che vi dividono da loro. Non date retta a chi vi sta mettendo uno contro l’altro. La coevoluzione è l’unica strada intelligente che si deve percorrere. Certo abbiamo l’obbligo di tirare fuori un progetto e di ricercare un accordo. Ma non mi sembra una impresa impossibile.

 

Lei crede professore che sia possibile unificare le due questioni professionali in unica questione?

Non solo lo credo, ma la ritengo la vera strada vincente. Come lei sa ho appena pubblicato un e-book che si intitola “La quarta riforma” (Clicca) nel quale tento di spiegare che se vogliamo salvare la sanità pubblica, da fraintese ed equivoche idee di sostenibilità, è necessario mettere in campo un’altra idea di sostenibilità, rispetto alla quale le prassi professionali sono la chiave di volta. Oggi il lavoro inteso in senso ampio è rimasto troppo indietro, al punto da diventare la vera invarianza del sistema e in quanto tale la sua vera fondamentale antieconomicità. Per definire una idea corretta di sostenibilità si deve affrontare la questione professionale, cioè quella del lavoro e delle prassi. Quando cambia tutto e le prassi professionali restano invariate il sistema regredisce e diventa sempre più inadeguato. Lei capisce che a fronte di questi complessi problemi perdere tempo con la guerra dei bottoni, è molto più che ridicolo….

 

Grazie professore mi fermerei qui. L’intervista tanto per cambiare è molto densa e piena di stimoli. Sono sicura che sarà molto apprezzata dai nostri lettori. Grazie di nuovo.

 

 

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