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Infermieri: L’innovazione deontologica attraverso l’autonomia professionale. Intervista a Ivan Cavicchi

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 31/12/2016 vai ai commenti

Articolo 49 e DemansionamentoLe interviste

Continua la nostra serie di interviste in esclusiva al professor Ivan Cavicchi, con al centro la riforma del Codice Deontologico degli Infermieri e il dibattito che intorno a questo si è sviluppato, a seguito della proposta elaborata dalla Federazione Nazionale IPASVI (Clicca) e di quella del Collegio IPASVI di Pisa (Clicca), di cui lo stesso Cavicchi è stato protagonista.

Dalle risposte di Cavicchi alle nostre domande emerge la profonda diversità di impostazione delle due proposte e il professore ci fa capire come questa diversità non sia solo di forma, bensì di sostanza. Un diverso modo di intendere la professione e un diverso modo di intendere i professionisti all’interno del sistema, fondato sul concetto non banale di “autonomia”, vera chiave per intraprendere una riforma e non una semplice, e per ciò stesso debole, revisione (l’ennesima e ugualmente invariante).

La discussione non può prescindere dalla frattura che, come è emerso negli ultimi giorni, percorre la Federazione Nazionale stessa, in cui si distinguono due “anime”, una molto legata al passato e alla sua protagonista indiscussa di un ventennio, e una più aperta al dialogo e al confronto con opinioni diverse, non senza portarsi dietro comunque, secondo il Professore, una dote di responsabilità nella gestione della rappresentanza professionale dall’ultimo rinnovo degli organi centrali ad oggi, che non ha avuto il mordente necessario a imprimere una svolta alla guida degli Infermieri.

 

INTERVISTA AL PROFESSOR IVAN CAVICCHI

di Chiara D'Angelo

- See more at: http://www.infermieristicamente.it/articolo/7206/cavicchi-la-lotta-intestina-dell-ipasvi-all-ombra-della-riforma-del-codice-deontologico/#sthash.znQJj6JD.dpuf

INTERVISTA AL PROFESSOR IVAN CAVICCHI

di Chiara D'Angelo

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INTERVISTA AL PROFESSOR IVAN CAVICCHI

di Chiara D'Angelo

 

Professore in molti hanno interpretato la sua ultima intervista come un chiaro sostegno all’attuale Presidenza della Federazione nazionale Collegi IPASVI, questo vuol dire che ha deciso di schierarsi?

No. Per carità. Nelle beghe di palazzo non voglio mischiarmi. Da sempre come lei ben sa, avendo curato quello splendido libro “Il riformatore e l’infermiere - il dovere del dissenso” (Clicca), sono schierato per Siringhino. Come lui, non da oggi, sostengo che se abbiamo la “questione infermieristica” è perché alla Federazione è mancato un pensiero riformatore adeguato in grado di reinventare il vostro ruolo professionale a fronte dei tanti cambiamenti sociali, e non solo, che sono intervenuti.

 

Però professore oggettivamente la sua posizione, che per altro io e tanti altri condividiamo, finisce per favorire oggettivamente una delle due fazioni, in particolare quella della presidente in carica.

Guardi chiariamoci subito. L’attuale Presidente della Federazione non è meno responsabile della “questione infermieristica”. Come gruppo dirigente è corresponsabile del comma 566, della proposta di spacchettamento del profilo professionale, di questo insipido Codice deontologico e di non aver difeso l’autonomia della professione, permettendo ad una forza politica di maggioranza di coordinare il lavoro di aggiornamento del codice deontologico.

 

Beh professore, citando un suo articolo, bisogna dire che non è facile fare il presidente con un “gattone” sulle spalle che ti controlla praticamente anche il respiro

Certamente non è facile e forse questa è la ragione per la quale questa presidente fino ad ora è stata in perfetta continuità con “il gattone”. Guardatevi il video della sua intervista dove pur usando la nostra espressione “questione infermieristica” ignora del tutto la proposta di Pisa, senza mai citarla, pur parlando del Codice deontologico e, da ultimo, colloca nel 2017 quale unica battaglia da fare la concertazione sul comma 566.Poveri noi! Qualcuno potrebbe dire “tattica”, può darsi… a me viene in mente la storia di Faust e del suo accordo con il diavolo. Oggi per la nostra Presidente sicuramente l’accordo che ha fatto con chi l’ha preceduta si rivela stretto oltreché ignominioso, perché fare il burattino con tutti quei titoli non è bello. Ma tornando a Faust non è semplice a contratto fatto dire a Mefistofele l’anima è mia e non te la do più. Capisco che perdere l’anima non è una bella cosa però capisco anche il disappunto di Mefistofele e cosa sia capace di fare.

 

Lei descrive però una situazione senza speranza nella quale tutto è come scritto in un destino che non si può cambiare

Vedo che lei non conosce la storia di Faust. Alla fine non vince Mefistofele ma Faust che per salvare la propria anima prende le distanze dal male, dai soprusi, dagli inganni. Quasi a dirci che contro il diavolo vale solo la redenzione.

Veda per restare al poema mi viene da pensare a quattro cose:

  • se Faust tenta di contendere il potere a Mefistofele sul suo terreno si sbaglia perché satanasso è più bravo e più potente;
  • se Faust e Mefistofele si scontrano a strategia invariante cioè non per una idea diversa di mondo, oggettivamente non cambia niente per cui o uno o l’altro per il mondo pari sono;
  • se tutto avviene dentro il palazzo anche questo per satanasso sarà un vantaggio, nel palazzo egli è sicuramente imbattibile;
  • se Faust capisce che non ce la fa e decide di sottomettersi un’altra volta a Mefistofele bhe in questo caso lui perde l’anima e il mondo la speranza.

 

Se lei professore fosse Faust cosa farebbe

Ne più e ne meno di quello che Goethe saggiamente ha previsto nel suo poema, cioè sfiderei Mefistofele sul terreno del bene quindi della proposta, parlerei direttamente al mondo con una discussione pubblica sul suo futuro e mi proporrei comunque come una alternativa al male.

 

Ma il gesto che ha fatto la Federazione di partecipare al Convegno di Pisa ha un grande significato politico, è anche un modo per aprire la Federazione a un’idea diversa di professione…

Giusto. Come ho detto e ridetto anche nell’intervista che abbiamo registrato al Convegno di Pisa (Clicca), si tratta di un gesto importante che fa ben sperare, perché come dice lei ha un certo significato politico e bene fanno i miei amici di Pisa a perseguire il dialogo ricercando il confronto e il coinvolgimento. Ma resto molto dubbioso su come andrà a finire. Che le devo dire, vedremo, se sono rose fioriranno. Ho l’impressione però dalle sue domande che sia Lei ad essere schierata per qualcuno. Che ne dice se parlassimo di altro?

 

Certo professore se lei è d’accordo riprenderei il discorso dell’autonomia. Mi pare che lei ne abbia fatto una chiave interpretativa di tutta la proposta di Pisa.

Le posso fare io una domanda? Quale è il contrario di ausiliarietà? L’unica parola che si oppone ad ausiliarietà è autonomia. Essere ausiliari significa essere una professione allegata ad un’altra professione. Essere autonomi significa essere una professione in relazione con una sua identità precisa, un suo ruolo, con altre professioni. Si tratta di definire nuove relazioni cooperative che si basano su quella che nel codice di Pisa viene definita ausiliarietà reciproca, cioè una forma nuova di reciprocità tra diverse autonomie partendo da un semplice postulato, peraltro molto ben definito dal codice di Pisa: un servizio è un sistema di prassi interconnesse nessuna prassi professionale ripeto nessuna da sola è un servizio.

 

In pratica si tratta di riformare la relazione storica con il medico? Non è così?

Non solo e non così semplicemente. Autonomia vuol dire prima di ogni cosa essere infermieri diversi per lavorare in modo diverso e quindi avere una relazione diversa con i malati e i loro problemi e ovviamente con i medici e gli altri che a loro volta dovranno essere e lavorare in modo diverso. Perché deve essere chiaro che l’autonomia degli infermieri necessita che si ridefiniscano anche i comportamenti degli altri. Non ha molto senso che:

  • un infermiere faccia le stesse cose ma in autonomia;
  • gli infermieri diventino autonomi e le altre professioni invarianti.

Se fa le stesse cose e tutti restano quelli che sono perché non restare nell’ausiliarietà?

 

Quindi l’autonomia è un modo diverso di essere infermieri?

Già! Essa non va ridotta a autarchia, cioè a quella che il lato oscuro della Federazione ha definito il “riscatto” degli infermieri nei confronti dei medici, come se i medici fossero gli schiavisti della Louisiana e gli infermieri i negri che raccolgono il cotone. Questa è una volgare strumentalizzazione delle tensioni che pur esistono tra medici e infermieri e sulle quali il lato oscuro continua ad attizzare il fuoco. L’autonomia vera è pragmatica ed è ben descritta dal codice di Pisa quando a questo proposito introduce il principio di proscrittività, un principio del tutto assente in tutte le altre deontologie e che apre davvero scenari inediti.

 

Di che si tratta? Ce lo spieghi se possibile con parole semplici...

Tutti i Codici compreso il vostro, anche nella recente versione aggiornata dalla Federazione, sono un insieme di norme prescrittive volte a guidare i comportamenti professionali, nel senso di fissare ciò che è loro permesso fare e ciò che non è loro permesso fare.

Per esempio all’infermiere è permesso somministrare la terapia ma non gli è permesso prescriverla. La logica prescrittiva è quasi automatica: quello che non è permesso è automaticamente vietato. Se non è permesso prescrivere è automaticamente vietato farlo.

Questo modo di ragionare va bene in generale e riguarda per grandi linee le competenze, le funzioni, le mansioni, le responsabilità ma è troppo rigido rispetto alle condizioni di lavoro reali degli infermieri. Per di più propone una idea di ruolo chiuso standardizzato preconfezionato poco realistico.

 

Lei sostiene quindi che tra Codice e realtà esiste un problema di adeguatezza. Essere inadeguati significa essere poco aderenti alla realtà professionale…

Non c’è dubbio che i Codici per essere credibili e per funzionare devono essere aderenti alla realtà. Se non lo sono alla fine si rivelano inutili e inservibili. E’ un dato di fatto che le situazioni nelle quali lavora effettivamente l’infermiere siano sempre più complicate di ciò che prescrive un Codice. Ignorare la realtà vera di lavoro dell’infermiere significa appiattire tutto e ridurre gli infermieri a dei meri esecutori di mansioni, ma soprattutto significa deprivare la deontologia di credibilità.

 

Insomma professore, lei dice che tra quello che prescrive un Codice e quello che fa un infermiere vi è uno scarto…

Sì e aggiungo che si tratta di uno scarto quasi fisiologico per recuperare il quale non bisogna pensare a dei Codici super analitici e super particolareggiati, ma semplicemente bisogna descrivere gli infermieri non come delle macchine intelligenti bensì come delle persone intellettualmente autonome. Se c’è uno scarto bisogna riconoscere all’infermiere una certa autonomia per poterlo recuperare. Ma se nel Codice l’infermiere è descritto come un robot a mansioni programmate come faccio a recuperarlo?

 

Ma il problema dello scarto se non sbaglio è un problema più generale, che esiste tra qualsiasi norma e la realtà in cui viene applicata, nel senso che la realtà è sempre più complessa della norma che la descrive...

Ha ragione infatti nell’ambito del diritto il problema dello scarto si chiama lacuna e si ha quando una fattispecie non è prevista da alcuna norma giuridica.

Dice il diritto che se vi sono lacune bisogna ricorrere al principio di libertà quindi ad un principio di autonomia secondo il quale sono leciti tutti i comportamenti non vietati da altre norme cioè "tutto ciò che non è vietato è permesso".

 

Ma l’idea di scarto che lei descrive professore è più comune di quello che si crede. Gli infermieri lavorano sempre di più in condizioni sfavorevoli. Cioè per gli infermieri lo scarto, come lo chiama lei, è quasi la norma. Spesso il rapporto tra numero di infermieri e numero di assistiti è sbilanciato. Spesso i confini netti tra competenze professionali sono messi in discussione dai contesti in cui si lavora. Sto pensando ai Pronti Soccorso, a tutta l’area dell’emergenza, a certe situazioni ad alta specializzazione, ma anche alla più semplice ambulatorialità. Spesso nelle realtà di lavoro vi sono accordi taciti guidati dal buon senso in ragione dei quali gli infermieri e i medici regolano le loro attività oltre i loro confini convenzionali. E questo a beneficio del buon funzionamento del sistema…

Perfetto. Proprio così. Anche io penso che lo scarto sia praticamente la norma. Per governalo bisogna andare oltre le deontologie convenzionali, come è quella della Federazione, e pensare a delle deontologie discrete proprio come quella di Pisa.

 

Che cosa è una deontologia discreta?

E’ una deontologia che usa l’autonomia come principio di adeguatezza e di completezza che prevede, come le dicevo prima, che tutto quello che non è espressamente vietato è a certe condizioni permesso.

Ne deriva che la sua professione per essere adeguata davvero alla realtà dovrebbe essere descritta e definita in forma discreta, non assoluta, prevedendo un grado di autonomia grazie al quale il ruolo si perfeziona e si completa nella realtà e quindi in rapporto agli altri. Ma la Federazione rispetto a questa idea è lontana anni luce.

 

Davvero una bella idea professore in questo modo l’infermiere ha un ruolo preciso che prevede il suo auto-completamento.

Veda se la Federazione anziché trascinarvi in una guerra impossibile contro i medici sulle competenze avanzate (guerra che avete perso) avesse puntato le sue carte sulla definizione di una idea di professione discreta regolata con il principio di proscrittività, voi infermieri sareste diventati come dice Pisa sul serio infermieri.

 

Lei professore non finisce di sorprenderci ci sta dicendo che anziché scornarci con il comma 566 avremmo dovuto definire, applicando la legge, la nostra autonomia professionale?

Sì proprio così. Lo slogan avrebbe dovuto essere più o meno: non fare di più ma altro e in un altro modo con un ruolo autonomo!

 

Geniale!

Grazie il suo apprezzamento mi lusinga. La guerra sulle competenze avanzate è stata una follia politica, ma anche l’espressione di un vecchio modo di vedere ai rapporti tra medici e infermieri. Il comma 566 nasce dalla tracotanza di un legislatore convinto di cambiare il mondo con la forza della burocrazia e da un pregiudizio becero inaccettabile, quello del riscatto di una professione nei confronti di un’altra. Ma nasce anche dal non essere riusciti come professione ad essere coerenti e conseguenti con la Legge e quindi con il proprio ruolo. Cioè nel non essere riusciti, come dice Pisa, a diventare gli infermieri che avreste dovuto essere.

 

Posso riassumere? Non si tratta di ampliare delle competenze attualmente in capo al medico a ruolo infermieristico invariante, ma di riformare questo ruolo oltre l’ausiliarietà con l’autonomia, in modo da agire un principio di proscrittività.

Questa è la strada da seguire. Se la Federazione non riesce ad immaginare questa strada è un bel problema. In questo caso per Pisa la vedo dura. Resta il fatto che la proposta della Federazione nei confronti dell’autonomia è drammaticamente regressiva.

 

Quindi professore è l’autonomia il vero discrimine tra la proposta di Pisa e quella della Federazione.

Proprio così:

  • il Codice di Pisa introduce la proscrittività come condizione per esprimere l’autonomia professionale prefigurando la possibilità di uno sviluppo del ruolo nelle situazioni concrete;
  • quello della Federazione resta prigioniero della prescrittività, quindi nega il valore dell’autonomia e pertanto un possibile sviluppo professionale, a parte rubacchiare di nascosto qualche mela ai vicini.

 

Caspita professore, nel leggere il Codice di Pisa le confesso che non ero riuscita a cogliere tutti questi nessi, anche politici, con le competenze avanzate.

Temo aimè che non sia la sola. A volte non sono sicuro che si sia capita la portata strategica profonda della proposta di Pisa. Temo le letture superficiali e mi fanno tenerezza coloro che ritengono semplice ricomporre delle differenze di impostazioni così radicali. A parte le incognite legate al quadro dirigente della Federazione ci sono oggettivamente punti poco mediabili. Sulla autonomia lo spazio per mediare non c’è. O un infermiere è ausiliario o è autonomo. Punto.

 

Scusi professore abbiamo capito che lei sulla nostra professione ha le sue idee e che i suoi obiettivi di riformatore alla fine vanno bel oltre le nostre beghe interne, ma ci dica meglio perché, in fondo in fondo, lei non condivide la proposta della Federazione e la ritiene poco mediabile.

Guardi che il mio personale dissenso non deriva dal fatto che io ho altre idee, avere idee diverse per me è normale, ma solo perché sono convinto che se assumiamo quale riferimento la "questione infermieristica" la proposta della Federazione non conviene. E’ contro gli interessi primari della professione. E’ contro Siringhino. Per me Pisa non è più giusta o più corretta, ma rispetto alla questione infermieristica è pragmaticamente più conveniente. Cioè dà più risultati. Conviene di più a Siringhino.

 

In cosa consiste la convenienza della proposta di Pisa?

Pisa fa una operazione che fino ad ora nessun Codice ha fatto mai, compreso quello dei medici:

  • ammette che l’esistenza degli scarti tra deontologia e la realtà della professione è legata al problema dell’incompletezza delle norme deontologiche;
  • considera velleitaria l’idea che sia possibile disciplinare in modo generale e prescrittivo qualsiasi situazione della realtà professionale.

Pisa ci dice: occhio quelle che a voi sembrano scarti tra deontologia e realtà professionale non sono null'altro che lacune deontologiche, cioè la mancanza di norme in grado davvero di esprimere la complessità della professione.

Per cui cosa fa Pisa? Null’altro che:

  • spostare il tiro su una deontologia più adeguata ai vostri problemi;
  • proporci una idea di professione discreta adeguata alle sue complessità.

Pisa conviene di più perché è più adeguata ai problemi della professione

 

Cosa vuol dire sul piano pratico un Codice discreto, adeguato alla realtà operativa della professione?

Vuol dire che in un Codice non basta fare l’elenco dei doveri, ma bisogna anche offrire all’infermiere delle possibilità per esercitare concretamente la sua autonomia nella realtà reale. Si è vero l’infermiere ha un ruolo ben definito, ma quel ruolo non va agito come uno standard rigido ma come un reticolo flessibile; quindi a parità di ruolo l’infermiere può essere secondo il principio di proscrittività in modi diversi

Il principio di proscrittività apre un orizzonte nuovo tutto da esplorare. Se una certa forma di organizzazione del lavoro non è espressamente vietata allora, se condivisa con altre professionalità, è permessa. Per non parlare delle divisioni convenzionali del lavoro tra professioni o delle relazioni con gli altri, delle metodologie da adottare ecc.

 

Mi sembra che, stringi stringi, ritorniamo alla questione iniziale: autonomia contro ausiliarietà.

Proprio così. Sono due modi diversi di intendere la professione per me, ripeto, difficilmente conciliabili:

  • il codice di Pisa è costruito secondo il ruolo inteso in modo proscrittivo, quindi fondato sul principio dell’autonomia e delle possibilità;
  • quello della Federazione è costruito secondo le competenze intese in senso prescrittivo, quindi del principio dell’ausiliarietà.

Ma del resto parliamoci chiaro:

  • se non si definiscono le possibilità della professione si resta ausiliari e quindi è inutile parlare di autonomia;
  • se si continua a parlare di ausiliarietà le possibilità non vanno oltre le mansioni da garantire.

 

Bene professore mi fermerei qui. L’autonomia come lei diceva non va fraintesa con l’autarchia. Questo chiama in causa il rapporto con le altre professioni, quindi con i medici che, mi creda, non sono proprio dei gran riformatori. Sulla sua idea di coevoluzione le propongo di rimandare l’argomento ad un’altra conversazione.

OK. Mi limito a dire che oltre alla questione infermieristica vi è quella medica, che i medici non hanno meno problemi degli infermieri e che sulla questione dei rapporti tra professioni della proposta della Federazione non dicono praticamente nulla, il che è semplicemente pazzesco considerando il loro stato di crisi, mentre il Codice di Pisa giustamente dedica ad essa ben due capitoli articolati in una decina di articoli. Non aggiungo altro. Personalmente penso che con i medici sia possibile, a certe condizioni, trovare un accordo di coevoluzione. Che sia facile questo non lo posso dire, ma che sia possibile sì. Intanto vorrei che la Federazione prendesse atto che il tentativo di scippare ai medici delle competenze è fallito e quindi prego caldamente di aggiornare la strategia.