La pausa pranzo soppressa va pagata come straordinario. La sentenza
Se il datore di lavoro sopprime la pausa pranzo, sostituendola con dei buoni pasto spendibili al di fuori dell’orario di lavoro, pretendendo che i 15 minuti destinati alla pausa mensa pur non goduti vengano recuperati, egli deve retribuire questo tempo in più come straordinario.
A stabilirlo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. n. 21325/2019.
I fatti
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere accoglieva il ricorso di due dipendenti della Asl, che si erano visti richiedere dalla stessa di trattenersi in turno 15 minuti in più rispetto al normale orario di lavoro, a fronte del pagamento dei buoni pasto in luogo della pausa mensa della quale non usufruivano.
La Asl veniva condannata per non aver "predisposto alcuna turnazione che consentisse ai lavoratori la consumazione del pasto e non avendo, dunque, il personale fruito di effettive pause a ciò finalizzate, non trovava giustificazione alcuna la pretesa della ASL di veder prolungato di 15 minuti l'orario di lavoro da parte dei dipendenti beneficiari dei buoni pasto spendibili solo fuori dell'orario di lavoro.
La Asl ricorreva in Cassazione.
La Sentenza della Cassazione
L’Asl ha l’obbligo di consentire, durante l'orario di lavoro, la fruizione di una pausa per la consumazione del pasto. I dipendenti per ogni giorno di effettiva percezione dei buoni pasto, come puntualmente indicato, si sono visti prolungare di 15 minuti l'orario di lavoro, pur non usufruendo della mensa.
Per tale motivazione, i 15 minuti richiesti impropriamente, vanno retribuiti come lavoro straordinario.
da StudioCataldi