Valeria Lembo, uccisa da overdose di chemioterapico. Assolta infermiera
Valeria Lembo era alla sua ultima seduta di chemio, quando una dose 10 volte superiore rispetto a quella che le andava somministrata, la uccise. La 34enne morì in preda a dolori atroci. Nessuno dei condannati finirà in carcere.
"Dopo avere visto mia figlia morire in quel modo, dopo dieci anni di tormenti, di bugie su bugie raccontate in aula, mia figlia non ha avuto la giustizia che meritava. Nessuno andrà in carcere. Sarebbe stato peggio non avere nemmeno le condanne ma non posso dirmi soddisfatta. Mentirei", dice Rosa Maria D'Amico, madre di Valeria Lembo, uccisa nel 2011, da una overdose di chemioterapico, uno dei più gravi errori medici al mondo, secondo la letteratura scientifica del tempo.
La vicenda aveva interessato il reparto oncologico del Policlinico di Palermo: Valeria Lembo, 34 anni morì il 29 Dicembre 2011, per una somministrazione eccessiva di un farmaco chemioterapico.
Alla donna veniva somministrata una dose di 90 milligrammi di vinblastina, anziché di 9 milligrammi, una dose dieci volte superiore, letale, che la uccise a tre settimane di distanza dalla somministrazione.
A finire sotto processo furono, S.P., l'allora primario del reparto di oncologia medica, il medico L.DN., lo specializzando A.B., lo studente universitario in medicina G.M., e le due infermiere C.G, E.D., imputati a vario titolo per omicidio colposo e falsificazione di cartella.
La Corte di Cassazione di Palermo, dopo 10 anni dal tragico fatto, ha condannato l’ex primario del reparto di Oncologia del Policlinico di Palermo, Sergio Palmeri, a 3 anni.
L’oncologa Laura Di Noto è stata condannata a 2 anni e 3 mesi e l’allora specializzando Alberto Bongiovanni a 3 anni e 5 mesi.
Assoluzione piena invece per l’infermiera Clotilde Guarnaccia.
L’entità delle pene consente di chiedere la messa alla prova, quindi è plausibile che per nessuno degli imputati si aprano le porte del carcere.
La messa alla prova è la possibilità di chiedere la sospensione del procedimento penale per reati considerati di minore allarme sociale.
Il Messaggero