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Ma il preservativo preserva dall’AIDS? L'Educazione Sanitaria e l' Informazione, l'unica salvezza.

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 01/12/2015 vai ai commenti

EditorialiNursing

Di Enrico Virtuoso e di Maria Luisa Asta

L’Educazione sanitaria rappresenta il più formidabile strumento di lotta all’AIDS e , più generalmente, alla diffusione dell’HIV nel mondo; questo strumento è legato alla Persona, alla sua capacità di relazione e ai suoi comportamenti nel contesto sociale e privato, soprattutto se si considera che più della metà delle persone con AIDS ha un’età compresa tra i 25 e i 35 anni e che il periodo di latenza tra il momento del contagio e la diagnosi di AIDS conclamata oscilla in media tra gli otto e i dieci anni, appare evidente che il problema coinvolge la popolazione giovanile ed è facile dedurre che tra i milioni di siero positivi presenti in Italia, molti si siano contagiati in età adolescenziale.

La cura dell’AIDS ha costi sociali elevatissimi sia in termini di vite umane che economici, perciò se si vi vuole evitare conseguenze così drammatiche bisogna far in modo che i nostri giovani attuino comportamenti a ridurre il rischio di contagio: Prevenzione e educazione sanitaria sono la risposta e, considerando l’abbassamento quali-quantitativo presente del nostro SSN, non c’è da essere molto ottimisti!

L’AIDS è una malattia a trasmissione sessuale. A fronte di questa semplice considerazione e della tendenza all’aumento dei rapporti occasionali non protetti, a cambiare con facilità partner, all’ignoranza del rischio, alla maggiore autonomia e ai lunghi intervalli di tempo lontano dalla famiglia, alle peggiorate condizioni socio-economiche, alla prostituzione diffusa tra i minorenni, all’uso di droghe e all’alcolismo… le agenzie determinanti per l’Educazione sanitaria (oggi scomparsa dai programmi di politica sanitaria) hanno considerato marginale la STRATEGIA (riduzione della promiscuità sessuale) ed hanno puntato quasi esclusivamente sulla TATTICA (preservativo) disattendendo i principi che sono alla base di ogni intervento educativo: la consapevolezza, la razionalità, la partecipazione e l’eticità.

Ma il preservativo preserva dall’AIDS (dalle altre malattie sessualmente trasmissibili)?

Il profilattico è essenzialmente un metodo contraccettivo che normalmente riduce la possibilità di una gravidanza di 10 volte, ma questo dato non può essere trasferito pari pari dalla prevenzione della gravidanza alla prevenzione dell'AIDS, la Letteratura internazionale è concorde nell'attribuire anche nei confronti dell'infezione da HIV un fattore protettivo di 10 volte (sono disposto a pensare ad un fattore protettivo anche di 20 volte); ma non è questo il punto che ci interessa, quanto il fatto che abbondano coloro che pretendono di spacciare il profilattico per una corazza di titanio, le dimostrazioni tecniche sulla resistenza dell'oggetto in questione non impressionano granché il virus, come non impressionano a volte nemmeno gli spermatozoi (che pure sono 100 volte più grandi) eppure recenti statistiche dimostrano che il 15% delle persone che hanno rapporti protetti può contrarre l'infezione. Altra riflessione, le campagne governative (del passato) hanno colpito, oltre che i giovani, anche la popolazione generale con spot che recitavano:”il preservativo riduce considerevolmente il rischio di infezione”, una informazione di questa portata non può essere formulata in termini cosi approssimativi, soprattutto se confrontiamo le due coppie di messaggi che è possibile evidenziare:

  • il preservativo non è efficace nel 10% dei casi

  • il preservativo non è sicuro al 100%

  • il preservativo riduce il rischio di contagio del 90%

  • il preservativo riduce considerevolmente il rischio di infezione

Tutte queste affermazioni sono inconfutabili e matematicamente equivalenti, ma gli Italiani recepirono allora correttamente il messaggio dello spot? O furono piuttosto indotti a sopravalutare l'efficacia del preservativo inducendoli ad aumentare la quantità dei rapporti sessuali a rischio?

Inoltre sorprende come i giovani sessualmente attivi usino molto poco il preservativo: su 100 ragazzi italiani solo il 30% fa uso del profilattico, il 23% lo usa saltuariamente, il 48% non lo usa mai e chi lo usa lo fa maldestramente e/o intempestivamente diminuendone decisivamente la capacità protettiva che scende fino al 70%.

Ma esiste solo il preservativo?

Se una persona conduce un tenore di attività sessuale altamente promiscuo tale da comportare un rischio di infezione, è necessario metterla in condizione di fare una scelta razionale, non basta dunque descrivere solo i vantaggi del preservativo; bisogna dire quali vantaggi offra l'alternativa raccomandata dagli epidemiologi, cioè l'instaurazione di rapporti stabili con una partner che sia esente da rischio ( per quanto è dato saperne). Si può dire che chi adotti questa strategia si pone in prossimità del rischio zero, cioè il rischio sarebbe ridotto di 10.000 volte rispetto ad un rapporto non protetto e di 1000 volte rispetto all'uso del preservativo.

I casi perciò sono due:

  • la promiscuità sessuale è bassa, allora il preservativo non serve

  • la promiscuità sessuale è alta, allora il preservativo non basta

Tale conclusione di certo non è banale e, comunque non vuole banalizzare il problema.

E mentre il preservativo non basta, in una società così povera di valori, sempre più degradata e degradante, l'AIDS torna a fare paura.

E’ recente l’allarme lanciato da OMS ed UNAIDS che rileva l’aumentata percentuale di “Adolescenti a rischio”: numerosi giovani tra i 10 e i 19 anni soffrono di disturbi psichiatrici, abuso di sostanze, cattiva alimentazione e malattie croniche, tra cui figura come attore principale l’AIDS, ritenuto oggi la seconda causa di morte tra gli adolescenti e la quarta causa di malattia e disabilità.

E ’risaputo che molti comportamenti che si manifestano durante l’adolescenza hanno poi un impatto sulla salute per tutta la vita, ne consegue che l’unico intervento possibile atto a prevenire conseguenze irreversibili in età adulta è l’ EDUCAZIONE SANITARIA che si rivolga proprio agli adolescenti, adolescenti che ad oggi non hanno alcun accesso a percorsi di prevenzione e cura.

Al fine di svilupparli ed implementarli l’OMS e l’UNAIDS hanno elaborato otto standard a cui fare riferimento:

  • Alfabetizzazione sanitaria: le strutture sanitarie devono poter sviluppare percorsi che permettano all’adolescente di essere costantemente informato sul suo stato di salute e di sapere come accedere a determinati servizi;

  • Supporto da parte di tutti gli attori del sistema: le strutture sanitarie devono mettere a punto dei sistemi affinché le strutture preposte diventino consapevoli dell’importanza di fornire adeguati servizi agli adolescenti.

  • Appropriata rete di servizi: le strutture devono assicurare informazioni, consulenze, diagnosi, cure e trattamenti in grado di soddisfare tutte le esigenze dei giovani;

  • Garantire adeguate competenze agli operatori sanitari;

  • Facilitare l’erogazione di appositi servizi;

  • Inclusione e lotta alle discriminazione, i servizi devono essere erogati a tutti a prescindere dalla possibilità di pagare, dall’età, dall’orientamento sessuale, dal livello di istruzione;

  • Miglioramento dell’analisi dei dati: tutte le strutture sanitarie devono essere in grado di raccogliere ed utilizzare i dati disaggregati per sesso e per età;

  • Inclusione dei giovani nei processi di pianificazione e monitoraggio;

Il rispetto di questi standard richiedono lo sviluppo di pacchetti che includano Informazione, Consulenza, Diagnosi, Trattamento e Cura.(tratto da A standard – Driven to improve the quality of healt care service for adolescent- QS allegati)

In merito all’ Aids, di questi otto standard individuati, sarebbe opportuno soffermarsi sulle “Adeguate competenze degli operatori” e sul ruolo centrale che questi occupano in tutto il processo Preventivo.

Nel 1973 l’Internetional Council of Nurses affermava che l’infermiere è qualificato ad autorizzato nel suo Paese a dare un servizio responsabile e competente per la PROMOZIONE della salute e la PREVENZIONE della malattia, nonché nella cura e nella riabilitazione.

Tale affermazione mette in luce chiaramente lo stretto legame tra infermiere ed educazione sanitaria; educazione sanitaria intesa come trasmissione di valori e contenuti culturali, cognitivi, etici e comportamentali a valenza positiva, finalizzati al mantenimento e miglioramento dello stato di salute, a partire dall’adolescenza in un processo che coinvolge l’intera esistenza con una educazione continua e permanente.

E’ noto come già esposto precedentemente, quanto l’impatto economico delle cure dell’ Aids sia elevato, fermo restando la cronicizzazione della malattia e l’impatto sociale e personale che questa ancora detiene, l' unica soluzione è la PREVENZIONE e L'INFORMAZIONE.

Ma l’ Infermiere come è percepito dalla società? E’ davvero visto come educatore?

La considerazione che i cittadini hanno degli infermieri è quella di una figura che assiste l’ammalato, ma difficilmente riusciamo ad capire quale ruolo possa assumere in uno stato di salute, nella prevenzione e nella sua promozione, nel suo ruolo educativo.

Oggi l’infermiere difficilmente è un educatore sanitario, diventando così complice della disinformazione che è responsabile della diffusione dell’Aids.

Una disinformazione che sembra dilagare tra gli adolescenti, paradossalmente gli adolescenti di ne sanno meno degli adolescenti di venti anni fa. Erano i primi anni novanta e la Campagna sull'Aids invadeva i media, dalla televisione ai giornali, dalla famiglia alla scuola, un bombardamento di informazioni, l'Aids metteva paura. Poi si sa, si spengono i riflettori, e quando cala il sipario, il silenzio crea oblio; l'Aids è stato rilegato in un angolo, giungendo oggi quasi sconosciuto alle nuove generazioni.

In uno dei tanti sondaggi condotti, un campione di 945 studenti delle classi quarta e quinta superiori di Milano è stato sottoposto ad un questionario anonimo di 15 domande chiuse, ed una parte in cui l'intervistato poteva rispondere esprimendo opinioni, paure e suggerimenti. Dall'analisi dei risultati è emersa la scarsità di conoscenze che vanno, dal significato di malattia e sieropositività, dalla modalità di contagio ai veicoli di trasmissione, i soggetti ed i rapporti a rischio, il preservativo, il significato di un test HIV. Dalle risposte emerge quindi una grande confusione, ma anche, una denuncia d'assenza di figure e istituzioni che facciano educazione sanitaria direttamente nelle scuole.

Perché non attribuire all'Infermiere il ruolo di Informatore? Di educatore sanitario? Riaccendere i riflettori nelle scuole. La presenza di una figura professionale, potrebbe influire positivamente sull'andamento della malattia e del suo dilagare.

L'infermiere Italiano è davvero pronto al ruolo di Educatore?

Oggi la realtà italiana, ci suggerisce l'idea di una concentrazione dell'infermiere nelle strutture pubbliche o private , rilegato al ruolo della “corsia”, in fondo perché, se analizziamo tutto il percorso di studi, quello ad essere esaltato è l'aspetto assistenziale, meno quello educativo. Questo evidenzia che difficilmente l'infermiere riesce ad uscire dal suo ruolo assistenziale e parallelamente anche la società fatica ad inquadrarlo come Educatore, in un sistema istituzionale che non ne prevede l'esistenza nel territorio e nelle scuole.

 

Quella che sembrava una malattia sconfitta, un demone del passato, è ancora presente, anzi più pericolosa che mai, forte di quei riflettori spenti, che accendiamo solo oggi primo dicembre, perché una ricorrenza ci costringe a ricordare che l'AIDS esiste e sta flagellando la nuova generazione, come un killer silenzioso uccide perché un sistema complice e disinformato lo permette. Quel sipario non dovrebbe calare mai sull'Informazione e sulla conoscenza, sono le uniche vie di Salvezza.