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Trattamenti topici nella cura della flebite chimica funzionano? La revisione della letteratura

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 29/04/2020

NursingStudi e analisi

Qual è l’efficacia dei trattamenti topici nella prevenzione o trattamento della flebite endovenosa correlata alla terapia?

Per rispondere a questa domanda è stara condotta una revisione sistematica degli studi randomizzati controllati.

 

Cos’è la flebite

 

La Flebite è un processo infiammatorio che si sviluppa rapidamente grazie a fattori diversi:

  • sensibilizzazione dell’endotelio vascolare a causa dell’attrito provocato dall’accesso vascolare contro l’endotelio (flebite meccanica)
  • iperosmolarità della soluzione somministrata (flebite chimica)
  • tossine batteriche (flebite infettiva).

La flebite chimica, una complicanza comune nei pazienti, consiste nell’infiammazione di una vena e in particolare dello strato più interno, la tonaca intima, a causa di farmaci o soluzioni con effetto irritante, ad esempio il ferro, il cloruro di potassio e i citostatici che danneggiano il rivestimento della vena con possibile infiltrazione, danno ai tessuti e sclerosi. Spesso la flebite si accompagna anche a un processo trombotico (tromboflebite e flebotrombosi).

L’incidenza oscilla tra il 20% e l’80% nei pazienti che ricevono una terapia endovenosa periferica, e se la flebite non viene trattata precocemente può prolungare l’ospedalizzazione; può svilupparsi anche dopo 2 o tre giorni dalla sospensione delle infusioni continue e dalla rimozione del catetere (flebite post infusione). La probabilità di svilupparla aumenta se viene inserito un nuovo dispositivo venoso in prossimità di uno da poco rimosso.

 

I fattori che provocano la flebite chimica

Osmolarità delle soluzioni

Le soluzioni infusionali sono distinte in isotoniche, ipertoniche e ipotoniche in base alla loro osmolarità confrontata con quella plasmatica.

Le soluzioni ipotoniche hanno un’osmolarità inferiore a 250-260 mOsm/L, ad esempio l’acqua sterile. Quando somministrate a flussi elevati provocano il passaggio di acqua nelle cellule endoteliali della vena; il risultato può essere un’irritazione della vena o una flebite, se le cellule attirano troppa acqua fino a scoppiare. Per questa ragione le soluzioni ipotoniche vengono utilizzate per diluire e ridurre l’osmolarità dei farmaci ipertonici.

Le soluzioni ipertoniche hanno invece un’osmolarità superiore a 300-310 mOsm/L con valori che raggiungono anche 500-1000 mOsm/L e richiamano acqua dalle cellule dei vasi endoteliali nel lume vascolare, causando il loro restringimento e l’esposizione della membrana ad ulteriori danni (flebiti chimiche, irritazione, trombosi). Tra le soluzioni fortemente ipertoniche la glucosata al 20e il Bicarbonato 8.4%.

L’osmolarità delle soluzioni ipertoniche può provocare danni all’endotelio della vena, innescando un processo infiammatorio e lo sviluppo di flebite.

entro 24 ore, per questo vanno infuse da una vena centrale: il volume di sangue in una vena centrale diluisce la soluzione, abbassando la sua osmolarità (tonicità).

 

Il pH (soluzioni/farmaci acidi e basici)

Per ridurre i rischi di flebiti bisogna somministrare soluzioni che abbiano un pH prossimo a quello del sangue e un’osmolarità inferiore a 600 mOsm/.

La somministrazione in una vena di grosso calibro (emodiluizione) è sicuramente il miglior metodo per prevenire tali complicanze.

Alcuni farmaci come la vancomicina e l’eritromicina, anche se miscelati e portati a pH neutro, possono ancora causare una flebite chimica perché irritanti.

I farmaci

Alcuni farmaci possono provocare una flebite chimica dopo una o più somministrazioni nella stessa sede, ad esempio, grandi dosi di cloruro di potassio, aminoacidi, destrosio, multivitaminici; o farmaci irritanti tra i quali l’eritromicina, la tetraciclina, la nafcillina, la vancomicina, l’amfotericina B.

Anche farmaci che non sono stati diluiti o miscelati correttamente producono del particolato che aumenta il rischio di flebite chimica.

Le azioni tossiche sulle vene provocate dai farmaci sono principalmente tre:

  • Irritantequando, in caso di stravaso, produce dolore, calore e infiammazione nel sito di infusione o lungo la vena nella quale viene somministrato, ma non provoca distruzione tissutale.
  • Vescicantequando, in caso di stravaso, produce dolore grave o prolungato, irritazione intravascolare, ulcerazione, danno cellulare.
  • Necrotizzante, quando il danno cellulare avanza fino alla necrosi del tessuto.

 

Le modalità di infusione

La velocità di infusione delle soluzioni somministrate per via endovenosa dipende da diversi fattori:

– Osmolarità: le soluzioni ipertoniche sono infuse lentamente per il loro effetto di richiamo di liquidi nello spazio intravascolare.

– Farmaci (come chemioterapici, antibiotici, amine, eparina) o elettroliti (come il potassio cloruro) contenuti nella soluzione la cui velocità di somministrazione va controllata con una pompa di infusione.

– Condizioni del paziente: le persone anziane, cardiopatiche e nefropatiche rischiano il sovraccarico per cui la velocità di infusione deve essere ridotta e controllata scrupolosamente.

– Calibro dell’accesso venoso.

– Condizioni del sito.

– Volume di soluzione da infondere.

Se il farmaco è irritante, rallentando l’infusione si aumenta l’emodiluizione.

 

Sito di inserimento del catetere.

La flebite chimica è un evento raro nei cateteri venosi centrali grazie alle grandi dimensioni del vaso e al volume di sangue circolante. Per evitare la flebite chimica, è necessario un accesso venoso centrale (CVA) per le soluzioni parenterali con concentrazioni di destrosio oltre il 10%.

È invece è più comune nei dispositivi endovenosi periferici, in quanto i farmaci e le soluzioni irritano il rivestimento endoteliale della parete dei vasi periferici di piccole dimensioni. L'inserimento di cateteri a livello del gomito aumenta il rischio di flebiti. Diversi studi indicano che negli adulti il rischio di flebite è maggiore a  livello delle vene del polso, dell'avambraccio e della fossa antecubitale rispetto a quelle della mano.

Anche le linee guida del CDC raccomandano che il dispositivo venoso periferico venga inserito preferibilmente negli arti superiori indicando un rischio inferiore a livello della mano.

 

Risultati

Sono stati raccolti dati su 13 studi randomizzati, che in totale hanno raccolto dati da 2.015 pazienti

durante i trattamenti ospedalieri con diversi tipi di terapie endovenose, come i liquidi

sostituzione, antibiotici, chemioterapia e farmaci antiaritmici.

Sono stati eseguiti diversi interventi topici come l'applicazione di antinfiammatori non steroidei, olio di sesamo indicum , formulazioni di eparina sodica, tè di Chamomilla recutita

 e unguento di Rosmarinus officinalis, ma non ci sono prove forti che indichino che un intervento specifico dovrebbe essere usato per prevenire o trattare la terapia endovenosa  correlata flebite.

I più usati sono Nitroglicerina (cerotto transdermico e gel), creme a base di eparina o sostanze eparinoidi (Hirudoid®), pyroxicam in gel, Notoginseny in crema (farmaco cinese) e diclofenac in gel e in forma orale (Solarze®, utilizzato normalmente per il trattamento della cheratosi attinica).

 

Da: Effectiveness of topical interventions to prevent or treat intravenous therapy‐related phlebitis: A systematic review

Cristina Bretas Goulart , Carolina Custódio, Christiane Inocêncio Vasques,

Elaine Barros Ferreira,Paula Elaine Diniz dos Reis