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L’Infermiere del 2015, "tra i pannoloni sporchi e la puzza di piscio".

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 30/11/2015 vai ai commenti

Articolo 49 e DemansionamentoLa rivista

E’ stata inviata alla Segreteria Nursind di Salerno, e da questa inoltrata al Commissario Straordinario e ai sub-commissari Sanitario e Amministrativo dell’ASL.

E’ la lettera aperta di un infermiere di lungo corso, che narra la triste quanto reale quotidianità di un Infermiere all’ospedale di Eboli, e che noi vi proponiamo alla lettura.

Demansionamento nella sua più umiliante e degradante manifestazione, carenza di materiali, di personale, di dignità, di rispetto.

La delusione di fronte all’ennesima beffa: la normativa sui riposi è ora in vigore, ma nulla è cambiato, nulla è rispettato. E la flebile speranza che “chi di dovere” stia perlomeno tentando di avvicinarsi a quell’interruttore che darà luce alla professione, finalmente. Una speranza rassegnata e appesa a un filo.

 

LETTERA APERTA

Siete il mio sindacato, anzi: il sindacato di tutti gli infermieri, consentitemi allora uno sfogo, che a parlare ai muri ho poca soddisfazione e, quando le giornate non sono ventilate, le parole mi cadono addosso e mi sporcano i vestiti e l'anima. Io vorrei fare un lavoro normale: di quelli dove mi assumono, mi dicono cosa si aspettano da me ed io cerco di dare il meglio, di migliorare le mie competenze, di far bene il mio lavoro.

Mi ritrovo invece incastrato da decenni in questa dicotomia tra quello che sono, quello che faccio e quello che dovrei essere e fare. Sono un infermiere, lavoro nell’ospedale di Eboli, dove qualcuno dice si sia fermato Cristo, l'attuale Papa dice che Cristo oggi sarebbe un infermiere ed io capisco perché si sia fermato proprio qui: ad Eboli gli infermieri vengono crocifissi, ogni giorno. Sono decenni che vivo situazioni di sfruttamento, di umiliazioni….ma oltre a me ad essere sfruttati ed umiliati sono i pazienti/utenti… e la mia professione.

Da sempre spero che verrà il giorno in cui tutto cambierà: non potrà andare sempre così, mi ripeto mentre corro a distribuire il vitto, a rifare i letti stando attento a come viene piegato l’angolo e non dimenticando di contare le lenzuola sdrucite che invio in lavanderia dopo aver legato per bene il sacco che li contiene ...e, mentre lo trascino dove verrà prelevato il giorno dopo, prego ...perché se qualche paziente avrà necessità di un nuovo lenzuolo so che dovrò correre per i reparti ad elemosinarlo: ne abbiamo in dotazione così pochi che di sera e nei week end dobbiamo centellinarli.

Appena esco dallo stanzino il collega mi avvisa che il paziente del letto 3 ha diarrea: devo correre a mettere i guanti ...no, prima devo recuperare qualche lenzuolo nei reparti più vicini. Giusto il tempo di detergere con lo spazzolone la padella e subito bisogna correre a ritirare i vassoi, gli addetti della cucina sono già venuti a sollecitare, non tocca a loro raccoglierli e dobbiamo sbrigarci. Tra un malore, una consulenza specialistica, un incannulamento di una vena centrale, dopo aver chiuso i contenitori dei rifiuti speciali perché “puzzano” ed i colleghi sostengono che dobbiamo chiuderli per rispetto a noi stessi: per non sentire la puzza (i medici hanno un naso meno delicato evidentemente), somministro la terapia, raccattando i farmaci tra le nostre scorte e quelle personali dei pazienti, attento a distribuire sorrisi e battute insieme alle compresse, agli sciroppi ed alle fleboclisi.

Rilevo poi i parametri vitali e misuro le glicemie dei pazienti diabetici e qui rischio di pungermi, devo stare attento: per risparmiare l’amministrazione ha deciso di non fornirci più di pungidito “per comunità” dove si getta via tutta la parte anteriore insieme alle lancette ma ci ha dato lancette e pungidito “personali”, che se li dovessi usare rischierei di infettare di epatite C o HIV i pazienti …ed allora scelgo di pungere con le lancette a mano libera, così rischio io di pungermi ed ammalarmi ...dicono che non tutti gli infermieri di questo ospedale hanno la stessa attenzione verso i pazienti, ma tant’è: siamo come siamo.

Nel frattempo il turno è terminato, consegne veloci e via a spogliarmi della divisa che sento sempre più stretta. Adesso c’è il tempo per pensare, per mettere a fuoco, per capire che questo 25 novembre resta un'altra occasione persa, un'altra data per ricordare i diritti negati: la legge impone alle aziende sanitarie di trattare gli infermieri come lavoratori normali, di non chiamarli più al telefono dopo il turno di notte per chiedere di rientrare di pomeriggio con il solito ricatto morale: “altrimenti il collega resta solo” a gestire l’ingestibile ...e dall'altro lato della cornetta sappiamo che resta solo davvero!

Un poco ci abbiamo creduto, ci aspettavamo che cambiasse qualcosa, ci sono le regole, le multe, “ce lo chiede l’Europa”! E invece no, i turni restano gli stessi. L'azienda se ne fotte. Ed io non ce la faccio più a protestare, raccolgo appena quel sentimento di frustrazione che va aumentando e lo nascondo tra le rughe ed i capelli che ormai sono di un colore indefinito.

E ripenso a quando, anni fa, vide la luce il profilo professionale, anche allora avevo sperato che tutto cambiasse. C’era la legge che recitava:

“L'infermiere:

a) partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettivita';

b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettivita' e formula i relativi obiettivi;

c)pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico;

d)garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche;

e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali;

f) per l'espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell'opera del personale di supporto;

g) svolge la sua attivita' professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale”

...ventuno anni fa ...ero convinto che nulla sarebbe stato come prima, avevo sogni e speranze che volavano alto allora... ma, arrivato in reparto, tutto procedeva uguale e nulla è cambiato negli anni, continuo a svolgere mansioni ausiliarie, mi sentivo e mi sento pronto a fare altro, a dare il mio contributo per un'assistenza di qualità: ...non interessa a nessuno, c'è bisogno delle mie braccia, non della mia testa.

E così ripiego la mia divisa sporca e sdrucita cercando di non sgualcirla troppo: domani la dovrò rimettere sopra quegli zoccoli rotti ...per risparmiare hanno scelto di non fornirci le divise, da anni, tanti anni, troppi anni, molti le comprano io ho scelto di no in un ultimo scatto di sciocca ed inutile ribellione.

Domani ho un altro turno, un'altra notte. Buia.

Una luce anche fioca, di una candela, sarebbe d'aiuto: ditemi che state provando ad arrivare all'interruttore. Io resto qui ad attendere, in quest'angolo, lo stesso dove è stata relegata la nostra professione, tra i pannoloni sporchi e la puzza di piscio.

 

Armando (nome di fantasia)

 

 

Lettera aperta da Nursind Campania, QUI