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Infermieri di famiglia allo sbaraglio nel territorio? Il Decreto dimentica percorso formativo e competenze specialistiche

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 02/06/2020

FormazioneLe interviste

In merito all’istituzione dell’Infermiere di famiglia, prevista dal Decreto Rilancio, abbiamo chiesto un parere al Dott. Salvatore Lo Presti, Infermiere, Segretario territoriale NurSind Alessandria e Coordinatore Master Area Sanità Unipegaso

 

Il Decreto Rilancio ha riconosciuto l’urgenza di rafforzare due settori della sanità: le terapie intensive ed il territorio. In relazione a quest’ultimo ha definitivamente (si spera) istituzionalizzato la figura dell’Infermiere di famiglia;l’articolo 1, comma 5 del suddetto decreto recita: le aziende e gli enti del Ssn potranno conferire, dal 15 maggio 2020, incarichi di lavoro autonomo, anche di co.co.co, in numero non superiore a 8 unità infermieristiche ogni 50.000 abitanti (in tutto 9.600 infermieri), ad infermieri che non si trovino in costanza di rapporto di lavoro subordinato con strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private accreditate. Per le attività assistenziali svolte è riconosciuto agli infermieri un compenso lordo di 30 euro ad ora per un monte ore settimanale massimo di 35 ore. Potreanno far parte delle Unità speciali di continuità assistenziale anche medici specialisti ambulatoriali convenzionati interni.

Adesso tralasciando la modalità di assunzione ed il carico lavorativo con un infermiere per 6.250 pazienti, dal Decreto si evince che è stato istituzionalizzato il “contenitore” ma non il “contenuto” ovvero gli Infermieri di famiglia.

Dell’infermiere di famiglia è stato identificato target, tipo di contratto e paga oraria, ma non il percorso formativo.

Le 9.600 assunzioni di infermieri da impegnare nell’assistenza territoriale saranno infermieri allo sbaraglio, senza un’adeguata formazione che, nel campo dell’assistenza territoriale c’è ed è riconosciuta per legge, il master di I livello in infermiere di Famiglia.

I master sono previsti dalla Legge n. 43 del 2 febbraio 2006 (art. 6, comma 1, lettera c) che  prevede -per le Professioni Sanitarie- la possibilità di specializzarsi frequentando Master di 1° livello per le funzioni specialistiche rilasciati dalle Università ai sensi dell'articolo 3, comma 8, del Regolamento di cui al decreto del Ministro dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica 3 novembre 1999, n. 509, e dell'articolo 3, comma 9, del Regolamento di cui al Decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca 22 ottobre 2004, n. 270.

Nella seduta dell’Osservatorio Nazionale per le professioni sanitarie del 17 dicembre 2018, sono stati approvati 96 master a completamento dell’applicazione della Legge 43 del 2006, che prevede la laurea triennale seguita da due tipologie di master di primo livello, uno per le funzioni di coordinamento e l’altro per le funzioni specialistiche.

L’approvazione ha inoltre coperto una lacuna formativa importante. Come recita l’art. 16, comma 7 del Contratto di lavoro del 23 febbraio 2018, infatti, “il requisito per il conferimento dell’incarico di professionista specialista  è il possesso del master specialistico di primo livello di cui all’art 6 della Legge n. 43/06 secondo gli ordinamenti didattici universitari definiti dal Ministero della Salute e il Ministero dell’Università, su proposta dell’Osservatorio nazionale per le professioni sanitarie, ricostituito presso il MIUR con il decreto interministeriale 10 marzo 2016 e sentite le regioni”.

L’elenco dei master approvati il 17 dicembre 2018 dall’Osservatorio Professioni sanitarie del MIUR, in accordo con le Regioni e con le Categorie è stato successivamente trasmesso dal Ministero della Salute alle Regioni il 13 marzo 2019 e dal MIUR ai Rettori l’ 1 aprile 2019.

I  96 Master sono organizzati in 3 raggruppamenti:

 - Master Trasversali con 8 tipologie, rivolti a tutte o parte delle Professioni con contenuti prevalentemente organizzativo-gestionali, didattici e di ricerca. Il percorso didattico può essere unico per i professionisti ma con CFU dedicati per l’applicazione alla specifica area disciplinare e professionale.

- Master Interprofessionali con 11 tipologie su 12 Profili, rivolti a due o più Professioni su tematiche a forte integrazione interprofessionale. Il piano didattico deve prevedere oltre a CFU comuni tra le professioni, anche CFU dedicati all’approfondimento di aspetti e competenze specifici per ciascuna professione a cui è aperto il Master.

- Master Specialistici di ciascuna Professione con 77 tipologie, che rappresentano lo sviluppo di competenze specialistiche di ogni professione.

Tra questi il master dell’area di cure primarie- infermiere di famiglia: afferiscono a questa area master finalizzati a sviluppare competenze per lavorare nella comunità con indirizzi diversi:

–          salute pubblica (interventi di promozione della salute, interventi preventivi ed educativi, di counselling sugli stili di vita, di attivazione di reti, di monitoraggio epidemiologico);

–          cure primarie, domiciliari e territoriali con approccio proattivo rivolto soprattutto a persone con malattie croniche (gestire follow-up secondo percorsi diagnostico terapeutici condivisi con altri professionisti, interventi di educazione terapeutica);

–          infermiere di famiglia e comunità, finalizzato a sviluppare competenze per prendere in carico le famiglie e le comunità sia per promuovere il loro benessere che per sostenerle con interventi specifici quando devono affrontare problematiche complesse di malattia, disabilità e cura.

Assodato il fatto che esista un percorso formativo riconosciuto per l’acquisizione delle competenze specifiche per lo svolgimento della professione nella comunità, dove non può e non deve esistere l’improvvisazione, il decreto a mio avviso risulta monco generando due problematiche non di poco rilievo:

  1. Il rischio di mandare allo sbaraglio 9.600 infermieri nel territorio, privi di competenza e specificità, potrebbero rendere inefficace la tanto attesa quanto fondamentale assistenza territoriale
  2. Uno schiaffo economico e morale a chi spende tempo e denaro per acquisire le competenze specifiche dopo aver frequentato e portato a termine il master di I livello in Infermiere di famiglia, che dovrebbe essere almeno titolo preferenziale se non essenziale per l’assunzione nel territorio.

Auspico che nel successivo decreto attuativo si rivedano i requisiti di accesso prevedendo la formazione specialistica.