Infermiere partigiane: Davida (Vida) Papai
La storia di Vida Papai può essere paragonata ad una vera e propria Odissea.
Nasce a Vukovar, in Croazia, il giorno di Natale del 1893, da genitori ebrei jugoslavi. Frequenta le scuole dell’obbligo fino al 3° anno di superiori, sposandosi poi giovanissima con un compaesano, tale Simon Baul. Resta vedova con due figli nel 1919 e resta a Vukovar fino al 1923, dopodiché si sposta in Ungheria dove si sposa con un ebreo ungherese, da cui prende il cognome, ovvero Miklos Papai. Da questi si separa nel 1939 e torna in Jugoslavia, a Zagabria.
Nel 1941, durante l’invasione nazifascista della Jugoslavia ad opera degli eserciti tedeschi, italiani e ungheresi, i due figli di Vida, che prestano servizio nell’esercito Jugoslavo, vengono catturati e deportati in un campo di concentramento ustaša, all’interno del quale perdono la vita.
Vida, rimasta sola, vive per qualche tempo nel ghetto ebraico di Zagabria, finché la sorella, falsificando alcuni documenti la ospita a Susak, in Dalmazia, territorio occupato dagli italiani. Qui Vida ci resta per un anno e poi, nel 1942 si trasferisce a Trieste. Da qui viene internata dal governo fascista italiano a Castel D’Aiano (BO), dove rimane fino al mese di novembre del 1943.
Avendo appreso che i tedeschi si stanno preparando a deportare gli internati nei vari campi di concentramento, Vida riesce a scappare e a rifugiarsi nei villaggi dell’Appennino Emiliano.
Entra in contatto con alcune formazioni partigiane che le chiedono di unirsi a loro in qualità di infermiera. Vida accetta e, per tutto il 1944, collabora nella gestione dell’Ospedale di Fontanaluccia, frazione di Frassinoro, all’interno dell’area liberata denominata “Repubblica di Montefiorino”.
In realtà la relativa tranquillità, dovuta alla liberazione dell’area da parte dei partigiani, dura fino al luglio di quell’anno, quando nazisti e fascisti rastrellano la zona, mettendo a ferro e a fuoco le abitazioni e gli improvvisati ospedali, costringendo a fughe rocambolesche anche i feriti in cura a Fontanaluccia.
In queste giornate drammatiche si distingue la nostra Vida, impegnata in vere e proprie azioni eroiche, come riportano varie testimonianze.
“Infermiera ebrea e comunista - racconta Don Prandi, il parroco di Fontanaluccia - ma molto brava. Durante l’evacuazione dei feriti gravi (circa una quindicina) la Vida, l’ammirevole infermiera slava, che non vuole abbandonare i feriti, con il prof Marconi, le suore e alcuni paesani provvedono a nasconderli nei fossati e nel bosco”.
“Alle infermiere Margherita e Vida consigliavo di assistere i feriti, - racconta uno dei medici di Fontanaluccia - in quanto come donne avrebbero dato meno nell’occhio. Soltanto Vida è rimasta ad assistere il nucleo dei feriti più gravi e non ha mai abbandonato il proprio posto, dimostrando così un altissimo senso del dovere e un’umanità superiore ad ogni elogio”.
Ancora Don Prandi, raccontando del desiderio di comunicarsi, temendo la fine imminente durante i rastrellamenti nazifascista, dei feriti dell’ospedale, racconta che “quando portai loro la comunione mi fu di molto aiuto la Vida che, pur comunista, fu ammirabile nella dedizione e nel rispetto”.
Vida Papai, durante i rastrellamenti, dunque, non si perde d’animo e aiuta a trasportare i feriti in aree più sicure, nascondendoli a volte nei boschi, nei canali, ricoprendoli di foglie. Il clima è di grande panico e disperazione ma Vida vuole essere d’aiuto fino in fondo, temendo ritorsioni sugli indifesi e debilitati pazienti.
Con undici feriti al seguito, Vida riesce a raggiungere le forze alleate, superando il fronte sul Monte Cimone, e a consegnarli al personale sanitario per le cure del caso.
Dopo l’estate e fino alla definitiva Liberazione, i partigiani riescono a liberare e rioccupare la zona di Montefiorino, consentendo a tutti gli abitanti della zona un’esistenza più serena.
Terminata la guerra Vida passa da un campo di raccolta ad un altro, da Bologna a Milano, a Como, lavorando anche come insegnante di lingue presso privati o come collaboratrice familiare.
Sceglie di non tornare in Jugoslavia, dove non ha più contatti, ma chiede (ed ottiene) di essere accolta in Israele, dove muore nel 1976. È sepolta in una modesta tomba al cimitero di Givat Shaul a Gerusalemme.
Oggi, l’associazione “Amici del Museo della Resistenza di Montefiorino” sta cercando di raccogliere ulteriore documentazione su Vida Papai: una storia degna di un film!
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