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Infermieri partigiani: Teresa Roncarolo detta “Gina”

Gemma Maria Riboldidi
Gemma Maria Riboldi
Pubblicato il: 16/01/2023 vai ai commenti

AttualitàLa nostra storiaStudi e analisi

Progetto a cura di Vincenzo Raucci e Gemma Maria Riboldi

 

È da una piccola valigetta di cartone pressato che serviva a contenere il necessario per farsi la barba che partirà questa narrazione. Un gioco appartenuto ad un bimbo nato il 9 gennaio del ’43 di nome Ezio…. Ezio Robotti. Cosa lega una valigetta di cartone e un bimbo alla nostra storia? Beh…molto!  Quel bimbo, è il bimbo di una delle nostre infermiere partigiane, Teresa Roncarolo detta “Gina” e la valigetta uno dei simboli delle sue eroiche gesta…

Teresa Roncarolo, classe 1919, infermiera presso l’Ospedale Maggiore di Vercelli, ora noto come Ospedale S. Andrea, sposata con Remo Robotti, sergente della divisione di Ravenna dichiarato disperso il 22 dicembre 1942 sul fronte russo, da cui non fece più ritorno. Un amore eterno, fatto di epistole conservate fino ai nostri giorni, fatto di un filo invisibile che portò “Gina” a lottare in difesa dei principi in cui credeva, mettendo l’arte della sua professione a disposizione delle Brigate di Gemisto, a cui apparteneva anche il cognato Efre, il cui nome da partigiano era “Raul”, al fianco della dott.ssa Anna Marengo e del dott. Francesco Ansaldi.

“Gina” ci dà la possibilità di conoscere anche Zaira Cafasso, classe 1908, collega e parente che, con lei e altre infermiere, collaborarono con esponenti dell’organizzazione antifascista clandestina di Vercelli creando, con l’aiuto di suore e medici, una vera e propria cellula partigiana all’interno dell’ospedale.

È proprio all’interno dell’ospedale di Vercelli che infatti, come Anita Bonardi (Mimma) dichiara in un’intervista dell’aprile 2011, la nostra infermiera partigiana si espose.

Dall’intervista di Mimma Bonardi “[…] per alcuni giorni urlai come un’ossessa fino a quando il medico del carcere mi trasferì in un ospedale, dove c’erano medici ed infermieri antifascisti, e si inventò una forte infiammazione all’appendicite… Dopo alcuno giorni, con la complicità di un’infermiera e l’aiuto dei partigiani, riuscii a scappare…”.

L’infermiera che ricorda “Mimma” è infatti la nostra “Gina”, molto amica di Mimma, e fu la nostra infermiera a permettere la fuga di questa nota partigiana, destinata ad essere processata al tribunale militare di Torino, fornendo vestiti, un alibi e una via di fuga e salvandola probabilmente dalla morte.

Questa, però, non fu l’unica impresa della nostra temeraria e tenace Gina. Come la storia ci insegna, la resistenza italiana non si sviluppò negli ospedali (quello è il COVID ma è un'altra storia!) ma tra le montagne e quindi, come fare arrivare assistenza e materiali ai partigiani feriti? Beh… se Maometto non va alla montagna, allora vuol dire che la montagna deve andare da Maometto!  Ed è così che Gina e Zaira, le nostre due infermiere della cellula dell’ospedale di Vercelli, risposero alla richiesta di aiuto della dottoressa Anna Marengo e del dottor Francesco Ansaldi. Tra le montagne, infatti, era necessario avere ferri e materiale per operare in loco e in urgenza i partigiani che non potevano arrivare agli ospedali. Fu così che le nostre due infermiere nascosero bene in un borsone tutto il necessario e, con i mezzi pubblici di allora e a piedi nell’ultimo tratto, raggiunsero le formazioni partigiane sui monti di Crevacuore. Come potrete ben immaginare, lungo la tratta incontrarono posti di blocco che superarono, con gran coraggio, grazie alle informazioni necessarie date dai partigiani con cui erano in contatto, e fu così che portarono a compimento la loro missione fornendo tutto il necessario all’assistenza dei partigiani feriti.

Ma ora che avete conosciuto Teresa Roncarolo, che fece l’infermiera fino all’età della pensione e ricevette il riconoscimento come partigiana che partecipò alla resistenza, ve la ricordate ancora la scatola di cartone pressato di Ezio, suo figlio? Beh quella fu il ricordo lasciato da un soldato che era stato nascosto da Teresa Roncarolo e i sui familiari nel solaio della casa di famiglia. In quella casa abitavano i genitori di Teresa e si trovava anche il suo bimbo (Ezio, appunto) che la stessa affidava ai nonni per portare avanti i turni (e non solo) all’interno dell’ospedale di Vercelli.

Ed è grazie a Ezio, che abbiamo personalmente conosciuto, se oggi abbiamo potuto raccontare la storia di Teresa Roncarolo, una donna e infermiera che fece della suo essere madre, della sua professione e del suo eterno amore la lotta contro il fascismo.

 

A presto Gemma e Vincenzo

 

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