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L'infermiere, visto da un paziente...

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Pubblicato il: 12/10/2014

Nursing

Riceviamo e pubblichiamo...

Caro Infermiere Arrabbiato,

ti scrivo perché ho avuto modo di apprezzare su Infermieristicamente (anche se noi ci conosciamo da prima) alcuni tuoi articoli e risposte pubblicate recentemente e perché vorrei spezzare una lancia in favore degli Infermieri la cui figura proprio in questi giorni è stata portata alla luce della ribalta in modo negativo (vedi caso pillola del giorno dopo negata e ambulanza del 118 dal tasso alcolemico elevato); approfittando di questa opportunità via web che è Infermieristicamente.

Anche io prima di “ammalarmi” ero convinto che la figura dell’Infermiere fosse quella di una professione svolta senza autonomia, subordinato agli ordini dei Dottori e quindi un mestiere gerarchicamente sottostante la classe medica in toto. Quindi sì, lo pensavo anche di te.

Poi mi sono ammalato. Vorrei che riflettessi su questo termine: ammalato. Dopo ci ritornerò.

Puoi immaginare cosa si prova a 25 anni quando un Medico ti dice che sei positivo ad HIV?

Ti si apre l’Inferno sotto e pezzi di te se ne vanno ovunque.

Il mio contagio è avvenuto per colpa della classica spavalderia e intraprendenza giovanile: un sabato di sbornia, due salti in discoteca, il partner sbagliato.

Non dimenticherò mai la mattina in cui, tutti in fila come se fossimo al banco dal macellaio col biglietto in mano, entrammo in consulenza in ambulatorio. Io guardavo quelli intorno a me e pregavo “non c’entro nulla, non c’entro nulla con loro, Dio mio fa che io non ci entri nulla”.

E’ strano quando ti dicono che sei sieropositivo. Perché loro prevedono anche le tue risposte, abituati forse a dare spesso queste notizie, ed al tuo “sicuramente c’è stato un errore”, detto balbettando e col cuore schizzato in gola, sanno teneramente farti capire che non è cosi.

Ma tu lo sai che non è cosi.

Come può un argomento, di cui ciò che conosci è relegato solo alle informazioni ricevute dei mass media, diventare “tuo”? Ora sei tu il malato di AIDS, non più e non solo quei magrissimi bambini africani condannati dalla nascita, di cui conti le ossa e le ore che li separano dalla fine.

Sarò anche io cosi? Diventerò un corpo secco, depauperato, disidratato ed appeso ai fili dell’accanimento terapeutico destinato a morire di qui a pochi anni?

E come lo dirò? E soprattutto a chi lo dirò? Perché poi dovrei dire anche che sono omosessuale e che mi ha contagiato un partner di cui appena ricordo il nome.

E i segni dell’AIDS si vedranno sul mio volto? Le persone mi eviteranno? Avranno paura di salutarmi? Il virus si trasmetterà col saluto? Sempre che mi salutino ancora.

Nessuno mi amerà mai più, ma tanto a che serve farsi amare se morirò di AIDS?

Dio mio, esco di qui e mi ammazzo subito. Meglio la morte ora.

E poi il senso di colpa. Ne abbiamo parlato molte volte, io e te, del senso di colpa, lo sai, in separata sede. Doppio. Prima quello di una sessualità che volente o nolente oggi come oggi è ancora vista con occhio torvo. E poi l’imprudenza commessa. Un castigo divino?

Sono passati due anni e mezzo. Le terapie antiretrovirali (al tempo non sapevo nemmeno pronunciarlo) stanno funzionando ed oggi ho una relazione stabile con un ragazzo che mi ama e che non ha paura di quel mostriciattolo che circolerà per sempre nel mio sangue.

Oggi non mi sento ne’ condannato da Dio ne’ una persona sporca e spregevole.

E voi non siete più, ai miei occhi, quelle figure ancillari e subordinate.

Se scrivo questo e sono questo devo ringraziare le due categorie professionali: Medici ed Infermieri. I primi hanno azzeccato la cura e dato molte informazioni relative ai farmaci.

I secondi si sono occupati del resto. E quando dico “resto” parlo di un lavoro grossissimo operato su me e tanti altri che sono nella mia stessa condizione.

Infermieri preparatissimi si sono presi in carico (si dice cosi vero?) la mia situazione clinica e hanno portato avanti un disegno assistenziale (mi hai insegnato tu che si dice cosi vero?) mirato, a lungo termine, a convertire tutti i miei disagi in punti di forza, a far sparire molte delle paure che avevo. Io mi aspettavo di trovare (chiedo scusa per il pregiudizio) di fronte un operatore che mi avrebbe giudicato e detto “che vuoi da noi? Te la sei cercata, prendi le pasticche” perché forse quello era in verità il riverbero su me stesso del senso di colpa ed invece… ….invece ho avuto la fortuna di conoscere un’infermiera bravissima e molto preparata, sia umanamente che scientificamente.

Ti dico solo che il suo cellulare non durava quanto l’orario di lavoro e restava acceso, per qualsiasi evenienza, anche la sera. Disponibilità totale.

Con lei ho potuto parlare di sessualità, pregiudizio, dolore, amore, speranza, cura, farmaci, alimentazione, analisi e speranza di vita.

Grazie a lei e alle sue “cure” ho potuto finalmente capire l’inesattezza dell’equazione “HIV=AIDS”, il binomio più tristemente fautore della molta disinformazione che vige oggi a livello sociale in materia di HIV.

Mi ha portato dolcemente e con fermezza clinica, passo per passo, nel mondo delle terapie e degli effetti collaterali, suggerito metodi affidabili per non dimenticarmi mai di prendere la terapia e vari escamotage per fare in modo che questa regolarità terapeutica avvenisse tranquillamente in concomitanza della vita quotidiana, senza nulla togliere allo svolgimento delle attività sociali e soprattutto senza lo spettro che qualcuno potesse accorgersi.

Sempre lei mi ha illustrato la tutela e le leggi di cui ora godo nel mio lavoro (sono dipendente pubblico e una delle mie paure più grandi era quella che a causa dell’HIV potessero scoprirmi e cacciarmi).

Quante cose, anche validi aggiornamenti clinici, mi ha insegnato questa instancabile Infermiera. Una mattina attendevo un’amica. Non appena questa arrivò mi guardò impaurita e disse “cosa ti sta accadendo, stai scoppiando in volto”. Mi specchiai sul vetro di una macchina col panico che l’AIDS si fosse improvvisamente dipinto sulla mia faccia. Invece era stato l’effetto collaterale di un farmaco, che poi il Medico ha cambiato, a darmi un gonfiore eccessivo al volto, manifestatosi con colore rosso intenso, sudorazione e pressione alta.

Chiamai la mia Infermiera. Ella calmò subito il mio panico prevedendo appunto che si trattasse di una reazione collaterale. Senza un’ottima preparazione sui farmaci chi per telefono avrebbe saputo farlo? E tanti altri episodi potrei raccontarti ancora. Ma tu credo li sappia già in parte.

Una volta le ho chiesto come mai, dopo il prelievo del sangue, mi accarezzasse sempre il braccio. La risposta mi fece rabbrividire – Perché col guanto e l’ago sono solo metà Infermiera, con la carezza dopo il prelievo lo sono a pieno, a testimoniare l’importanza dell’empatia e dell’amore che viene dalla divisa verde.

E nel momento più importante della mia vita, che mai credevo potesse arrivare, quello del fidanzamento intendo, la nostra Infermiera ci ha seguito nel Counselling (ora so che si chiama cosi) tranquillizzandoci e portandoci a conoscenza di dati clinici sul rischio nelle coppie siero-discordanti. Il Medico in due anni l’ho visto circa sette volte. E’ una dottoressa, anche lei bravissima e molto umana e dell’Infermiera che ci segue ha sempre a dire “sto tranquilla, è preparatissima in materia”.

Tornando al discorso malattia, ora so anche che non sono malato, come mi definivo.

Sono un ragazzo con una cronicità come l’hanno tanti altri, ma che spaventa di più per le implicazioni sociali e sessuali che richiama: è stata sempre questa Infermiera a farmi vivere la situazione clinica con la serenità di una persona stabilizzata e non come se fossi appestato da chissà quale morbo.

Certo, vivere con l’HIV non è una passeggiata, ovviamente, e non è desiderabile. Ti cambia la vita. Anzi, ti dà una nuova vita dopo averti strappato quella precedente.

In questi tempi di malasanità voglio solo far capire quanto l’Infermiere di oggi sia diverso da quello che portiamo nell’immaginario collettivo. Ed è una professione tanto nobile, la più bella, quanto difficile, l’ho capito vedendo lavorare la mia Infermiera.

Se fatto col cuore, l’Infermiere deve avere: umanità, scienza, criterio, capacità di scelta, discernimento, sesto senso clinico, fermezza, auto-controllo, malleabilità, continua ricerca, formazione, ironia, gestione della frustrazione e tanto altro.

Tutto questo mix di arti umane e scientificità clinica rapportate non solo a quel paziente, ma anche a quel paziente in quell’ora esatta e quel paziente in quell’ora esatta nella struttura X.

Essere Infermieri credo sia quindi difficilissimo, duro ma è garantito che se fatto bene diventa la professione più meravigliosa mai esistita.

Ringrazio te per avermi incitato a scrivere questa pagina, Chiara che la pubblicherà e tutti gli Infermieri che ogni giorno si battono in questo clima di tempesta: coraggio, io vi sono riconoscente per la vita e come me sono sicuro tanti altri.

 

Io tra le lacrime ringrazio G.G. per aver voluto scrivere questa confidenza bellissima ed autorizzarne la pubblicazione. Queste parole siano per tutti noi, al di la degli ideali sindacalisti e politici, parole che ci confermino quanto possiamo fare ed essere.
(Infermiere Arrabbiato)

 

Ringrazio anche io G.G. per il suo richiamo alla cultura della vita e per averci ricordato, con la sua testimonianza pregnante di emozioni, il valore dell’assistenza infermieristica vista con gli occhi del paziente. Un pensiero di stima va alla collega che non ha limitato l’assistenza a sole azioni sanitarie, bensì ha saputo accogliere la fragilità di G.G. nella malattia e nella sua cura garantendo, al tempo stesso, un importante sostegno affettivo-relazionale ed educativo, dando così una degna rappresentazione della professionalità degli infermieri.

Un riconoscente saluto a G.G. accompagnato da un abbraccio di Bene e dall’augurio di tanta felicità.

(Chiara D'Angelo)