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La categoria infermieristica e il blocco del turnover. Danni e soluzioni di Andrea Bottega

Elsa Frogionidi
Elsa Frogioni
Pubblicato il: 11/11/2017 vai ai commenti

Editoriali

Andrea Bottega Segretario Nazionale Nursind. "Gli esiti del blocco del turnover nella categoria infermieristica." Una sintesi del capitolo dal libro edito da ANAAO Assomed e NurSind: "Criticità del lavoro in Sanità nelle varie età della vita professionale" (allegato), a cura di Elsa Frogioni 

“…Infermieri sempre più vecchi e sempre più usurati popolano le corsie degli ospedali italiani. Dovrebbero erogare assistenza mentre spesso sono loro ad aver bisogno di cure. Dovrebbero essere una risorsa per le aziende mentre stanno diventando un problema. Il blocco del turnover ha anche questo aspetto che grava sul futuro del lavoro infermieristico….”

La politica economica nell’ultimo decennio in Italia ha inciso fortemente sulle risorse umane di tutti i dipendenti del SSN. Il blocco delle retribuzioni e del turnover ha garantito decine di miliardi di euro in risparmi, con l’amara conseguenza di aver minato la funzionalità dei servizi pubblici.

Dal 2009 al 2015 sono diminuite 40.000 unità di personale nel comparto sanità con il risultato di aver sottratto le prestazioni sanitarie rese ai cittadini. Con la chiusura di unità operative o addirittura di intere strutture ospedaliere, non tutte le Regioni sono state in grado di garantire i livelli essenziali di assistenza (dati del Min. Salute 2015).

La stagnazione del personale e le mancate assunzioni di “nuove giovani” risorse”, collegate a politiche di adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita, hanno determinato l’innalzamento dell’età media dei dipendenti pubblici, specialmente dei sanitari. L’età media degli infermieri dipendenti nel 2009 era di 44,21 anni, nel 2014 è salita a 47,70 e ogni anno che passa aumenta di circa 7 mesi (più di 49 anni nel 2017).

L’assistenza infermieristica, erogata e la salute dei professionisti sanitari risente moltissimo dei fenomeni legati all’invecchiamento. Chi presta assistenza diretta ai malati non solo diventa sempre più vecchio ma anche più usurato rappresentando un serio problema per l’organizzazione del lavoro, la qualità dell’assistenza e la sicurezza delle cure. La qualità della forza lavoro è condizionata dall’usura che si aggrava con l’aumentare dell’età. Dal rapporto OASI 2015 del Cergas- Bocconi, gli esoneri dalla mansione “aumentano con il crescere dell’età: sono infatti meno del 4% nella fascia 25-29 anni, mentre arrivano a circa il 24% nella fascia 60-64 anni.

La movimentazione dei carichi, le posture incongrue, lo stress e il burn out, il lavoro notturno, le reperibilità, i rischi chimici e le allergie coniugati all’avanzare dell’età, fanno sì che circa il 14% del personale infermieristico vanti un esonero di qualche tipo (inabilità o parziale abilità alla mansione). 

La disoccupazione infermieristica e l’emigrazione dei professionisti in altri paesi UE sono i prodotti del blocco del turnover. Fenomeni nuovi, perché proprio un decennio fa accadeva l’opposto, era l’Italia ad importare professionisti infermieri dall’estero.

Una stima approssimativa nel 2014 dava più di 16.000 infermieri disoccupati a fronte di un fabbisogno attuale di 30.000 infermieri per coprire le carenze in essere e ulteriori 60.000 unità fino al 2025 per coprire il maggior fabbisogno derivante dall’aumento della domanda (dati IPASVI).

Il blocco del turnover ha contribuito anche alla crescita del demansionamento professionale o, meglio, alla deprofessionalizzazione della categoria. Pochi e demansionati con le retribuzioni ferme al 2009, gli infermieri hanno pagato caro le politiche di austerity perseguite in sanità.

Il taglio alla spesa “beni e servizi” in sanità, seguiti dalla rinegoziazione al ribasso dei contratti di appalto dei servizi, ha costretto il personale infermieristico per la sua maggiore flessibilità a supplire molteplici mansioni. Nelle realtà in cui non sono presenti le figure di supporto, la somministrazione del vitto, la pulizia e igiene degli ambienti sono stati in parte o totalmente demandati al personale infermieristico.

Il commissariamento di alcune regioni del centro-sud con l’imposizione di vincoli e piani di assunzione di rientro rigidi, ha impedito la realizzazione di concorsi per gli infermieri, mentre le Regioni del Nord hanno avuto la possibilità di realizzare assunzioni a tempo indeterminato. La situazione ha decretato concorsi per pochi posti con migliaia di neo laureati che si spostano di provincia in provincia, di regione in regione, nella speranza di trovare un posto di lavoro a tempo indeterminato per poi sperare di riavvicinarsi alla famiglia attraverso l’istituto della mobilità. 

La mobilità in sanità, altra nota molto dolente, il governo ha posto ostacoli praticamente insormontabili per il comparto. Dal 2014 con la c.d. riforma Madia, decreto legge 90/2014 convertito in legge 114/2014, l’istituto della mobilità è stato riformato in alcuni aspetti dalla legge. Il nulla osta dell’azienda cedente è quello di maggior rilievo. Da tempo il Nursind porta avanti una battaglia per riportare a livello contrattuale la trattazione di tale istituto, ma nemmeno i decreti delegati attuativi della riforma hanno rimosso la riserva di legge su tale aspetto. Prima per il contratto, il nulla osta non era vincolante e risolutivo in massimo tre mesi, ora la legge di riforma l’ha posto come obbligatorio senza limiti temporali per accedere alla mobilità interregionale. Spesso chi ha la possibilità di partecipare a un bando di mobilità (obbligatorio prima di bandire un novo concorso e spesso utilizzato dalle regioni del centro-sud per risparmiare sui tempi e sulla spesa) si vede negato il nulla osta per il trasferimento con una forte frustrazione da parte del lavoratore e disagio sociale nella formazione di una famiglia e nell’accudimento dei figli.

A corollario del blocco del turnover si sta aprendo una nuova frontiera di maggiore “flessibilità” e precarietà che come sindacato vogliamo contrastare perché lesiva non solo delle norme sul lavoro ma anche della dignità della persona che si trova costretta ad aderire a un contratto senza tutele e senza prospettive pur di entrare nel mondo del lavoro.  Di recente il problema è peggiorato, le aziende sanitarie stipulano contratti libero professionali con infermieri per la copertura del lavoro ordinario turnista. Una forma di novello caporalato con infermieri liberi professionisti senza garanzie e tutele: malattia e ferie non pagate, retribuzione complessiva misera. Inseriti nell’organizzazione del lavoro alla pari degli infermieri dipendenti, timbrano il cartellino, fanno i turni ma sono esonerati dal rispetto della normativa sull’orario di lavoro.

Il quadro che fuoriesce è molto sconfortante, la prospettiva futura sembra essere l’implosione del sistema a seguito dell’aumento della domanda di assistenza derivante dall’aumento delle fragilità e delle malattie croniche e alla contemporanea diminuzione di personale dipendente abile alla mansione di infermiere. Un destino però non ineludibile se al più presto si ripristinerà una reale tutela del diritto alla salute attuando interventi utili a salvaguardare il servizio sanitario pubblico.

Le soluzioni proposte

Limitare il contenimento economico della spesa sanitaria, altrimenti il servizio reso senza qualità diventa inefficace, aumenta invece lo spreco e possibilità di peggiorare la salute dei cittadini. 

Il cambiamento generazionale è assolutamente necessario e prioritario. La proposta di aumentare il numero dei contratti part time potrebbe riscuotere particolare interesse in una categoria fortemente contraddistinta per la componente femminile. Terreno fertile soprattutto nelle regioni del nord dove l’invecchiamento della popolazione infermieristica è più accentuato.

D’altra parte l’esperienza e conoscenza degli infermieri più anziani, deve essere tramandata gradualmente e con i tempi necessari. Una repentina fuoriuscita di questi dipendenti potrebbe non favorire il passaggio delle metodologie di lavoro, abilità e competenze assistenziali necessarie a garantire la qualità e la sicurezza nel prendersi cura. 

Indispensabile limitare i carichi di lavoro a fine carriera. Non possiamo lasciare il personale con più di 40 anni di lavoro turnista nelle unità operative di degenza. Il part time e l’astensione al lavoro notturno dovrebbe essere assicurato, passando ad una gestione sanitaria che incrementi il ricovero diurno.

Altra opportunità da cogliere è l’incentivazione ai turni h24 operando una riduzione dell’orario di lavoro per il personale coinvolto nei turni notturni e il pagamento di indennità specifiche nei turni festivi e notturni.

Occorre investire denaro nella sanità pubblica e sono le politiche di governo a doverlo fare. Non si possono garantire servizi essenziali senza prevedere una adeguata spesa. La recente ricerca sul modello Rn4cast (finanziata anche da NurSind), ha dimostrato che in Italia il numero di infermieri presenti nei reparti base (medicina e chirurgia) in rapporto ai pazienti è di 1 a 9,5 contro un rapporto ottimale di 1 a 6 e una media degli altri paesi oggetto di studio di 1 a 8. 

In sanità, il più grande cambiamento dell’ultimo ventennio proviene dal paziente che, in qualità di utente sempre più informato ed esigente, pretende essere protagonista del processo di cura. Prendere in carico un numero troppo elevato di pazienti e tralasciare attività importanti, aumenta il tasso di mortalità. Lesinare sulle risorse umane significa non garantire la soddisfazione dei bisogni dei malati.

Incentivare forme private di assistenza e affamare il sistema pubblico rappresenta non solo una diminuzione della tutela del diritto alla salute ma anche disinvestimento che interessa tutta la nazione proprio nel momento in cui i bisogni di salute sono in forte aumento. L’eccesivo risparmio economico sul personale in sanità ha contribuito a causare la negazione del diritto alla salute ribadendo la supremazia dell’ordine economico rispetto ai diritti fondamentali della persona sanciti dalla Costituzione.

 

Allegato

 anaaonursind_interno.pdf