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Divieto di adibire le lavoratrici madri al sollevamento pesi. La nota dell’INL

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 03/04/2021

Leggi e sentenzeProfessione e lavoro

Durante il periodo di gravidanza e fino al settimo mese di età del figlio, le lavoratrici non possono svolgere mansioni che comportano il trasporto e sollevamento pesi. E, se non possono nemmeno essere adibite a mansioni differenti, sorge un diritto soggettivo delle stesse a non svolgere l'attività vietata secondo quanto stabilito dall'articolo 7 del decreto legislativo 151/2001.

L'Ispettorato nazionale del lavoro, nella nota 505/2021, fornisce indicazioni in merito all'applicazione delle norme a tutela delle lavoratrici madri contenute negli articoli 6, 7 e 17 del Dlgs 151/2001.

Le disposizioni di cui agli artt. 6, 7 e 17 del D.Lgs. n. 151/2001 sono finalizzate a tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole attraverso l’adozione di misure di protezione in relazione alle condizioni di lavoro e alle mansioni svolte o attraverso l’astensione dal lavoro.

Nello specifico, l’art. 7comma 1 – chiarisce l’ispettorato- dispone il divieto di adibire la lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi ed insalubri elencati, mentre il comma 6 abilita gli organi di vigilanza ad autorizzare l’interdizione dal lavoro laddove non sia possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni. Infine, l’art.17, comma 2, abilita gli Ispettorati del lavoro ad autorizzare l'interdizione dal lavoro, tra gli altri, per i seguenti motivi: “(...) b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino”(cfr. ML nota prot. n. 37/0011588 del 20 luglio 2015).

Nella nota l'Ispettorato precisa che ci sono le condizioni per adottare il provvedimento di interdizione anche qualora l'attività vietata svolta dalla lavoratrice non sia stata oggetto del documento di valutazione del rischio elaborato dall'azienda, una volta valutata l'impossibilità di adibizione a mansioni differenti. A questo proposito vengono citate le indicazioni già fornite con l'interpello 28/2008 e la nota 37/0007553 del 2013 del ministero del Lavoro.

  • Nello specifico l’interpello n. 28/2008 ha chiarito che “ai sensi del primo comma dell’art. 7 del menzionato D.Lgs. n. 151/2001 vige il divieto generalizzato di adibire le suddette lavoratrici al trasporto ed al sollevamento pesi, (...)ed inoltre la valutazione sostanziale e diretta delle condizioni di lavoro e dell’organizzazione aziendale svolta dagli organi di vigilanza “può prescindere dal documento di valutazione dei rischi che comunque l’ispettore ha facoltà di esaminare (...)”.
  • La nota prot. n. 37/0007553 del 29 aprile 2013 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha inoltre precisato come “la valutazione del rischio fatta dal datore di lavoro costituisce il presupposto sulla base del quale deve essere emesso il provvedimento di interdizione fuori dai casi di cui all’articolo 7, commi 1 e 2”.

 Ne consegue che, anche qualora il rischio attinente al sollevamento dei pesi non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice con la conseguente emanazione del provvedimento di interdizione da parte dell’amministrazione competente, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni.

Termine finale da indicare nel provvedimento di interdizione post partum nelle ipotesi di parto prematuro.

Inoltre- si evidenzia nella nota - come noto l’art. 16, comma 1 lett. d), del D.Lgs. n. 151/2001,in riferimento alle ipotesi in cui il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, prevede che i giorni antecedenti al parto non goduti a titolo di astensione obbligatoria si aggiungano al periodo di congedo obbligatorio di maternità da fruire dopo il parto.

Analogo principio trova applicazione nelle ipotesi di interdizione fino al settimo mese dopo il parto e pertanto i giorni di congedo obbligatorio ante partum non fruiti si aggiungono al termine della fruizione dei sette mesi decorrenti dalla data effettiva del parto.

Sul piano procedimentale-  infine, precisa l’Ispettorato-  per quanto attiene la richiesta nei confronti dell’Istituto previdenziale per l’erogazione dell’indennità sostitutiva, occorre che la lavoratrice inoltri sempre un’apposita istanza all’INPS (cfr. art. 1, D.L. n. 663/1969 conv. da L. n. 33/1980) ciò in quanto la sentenza dichiarativa del diritto non sostituisce l’atto provvedimentale della PA inteso quale presupposto necessario per l’erogazione della relativa indennità.