84mila euro di risarcimento al dipendente che si dimette per eccessive ore di straordinario
La richiesta di lavoro agli infermieri, oggi più che mai, supera di gran lunga le loro risorse lavorative e personali e questo li espone a rischi psico-sociali, con conseguenze negative sulla loro salute fisica e psicologica.
Un possibile effetto di tale malessere è la volontà di lasciare la professione, effetto che aggrava la carenza di personale infermieristico, fenomeno globale e preoccupante.
Uno studio che ha coinvolto sette Paesi Europei, ha dimostrato che in Italia, Francia e Germania, ci sono i più alti livelli di intenzione di lasciare la professione infermieristica.
Uno studio italiano, ha rilevato che il 34,4% degli infermieri prevede di lasciare l’ospedale ad un anno dell’assunzione ed il 43,8% aveva inviato richiesta di trasferimento.
Rassegnare le proprie dimissioni a causa di eccessive richieste, come lavorare un numero elevato di ore, con carichi di super lavoro, potrebbe, se provato con relativa documentazione, equivarrebbe a licenziamento per giusta causa, con diritto a risarcimento e indennità di disoccupazione.
In merito, ricordiamo una sentenza della Cassazione del 2015, che stabiliva che, se il dipendente che rassegna le dimissioni perché l’azienda l’ha sottoposto a sfruttamento, straordinari, condizioni di lavoro eccessivo, va riconosciuta la giusta causa ed ha diritto ad equo risarcimento, oltre che all’indennità di disoccupazione erogata dall’INPS.
La Corte afferma che il datore di lavoro, tutela la salute del lavoratore non soltanto dagli infortuni, ma è anche responsabile dell’aggravamento del suo stato di salute, se è stato causato da condizioni di lavoro inadeguate.. Essere sottoposti a lavoro straordinario “forzato”, con turnazioni aberranti, pone a rischio la salute del lavoratore e sia la Costituzione art.32, che il Codice Civile art. 2087, dichiarano questo comportamento datoriale illegittimo. Certamente spetta al lavoratore vessato, dimostrare innanzitutto che il lavoro a lui richiesto era “insopportabile”, talmente gravoso da comportare un danno oggettivo alla sua persona.
I fatti
il dipendente lamentava di essere ormai esasperato dalla mole di lavoro insostenibile della quale la società datrice di lavoro lo caricava e che gli aveva addirittura causato conseguenze alla salute, sfociate in una sindrome ansiosa da stress per iperattività lavorativa, come da certificato medico del servizio di medicina fiscale e legale prodotto.
La mole di lavoro, peraltro, risultava agli atti, oltre che dal carteggio relativo alle dimissioni, anche dai prospetti riepilogativi del lavoro svolto dal ricorrente e dai fogli presenze. Alla luce delle congrue motivazioni della Corte di appello in merito, la Cassazione non ha potuto far altro che confermare l'adeguatezza della decisione.
Così, ad avallo della sentenza emessa dal giudice del merito, la società datrice di lavoro è stata condannata a pagare in favore dell'ex dipendente una somma pari ad euro 84.637,34, a titolo di differenze retributive e TFR e, soprattutto, alla corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso giustificata dalla legittimità delle dimissioni per "ritmi lavorativi insostenibili".
Dimissioni per giusta causa
Le dimissioni per giusta causa identificano tutte quelle ipotesi in cui il lavoratore, a causa di un inadempimento ocondotta grave del datore di lavoro, ha il diritto di recedere immediatamente dal rapporto, senza attendere né rispettare il periodo di preavviso.
Rispetto alle dimissioni ordinarie, quelle per giusta causa conferiscono al dimissionario il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso (a carico dell’azienda) e all’indennità di disoccupazione NASPI (a carico dell’INPS) in presenza comunque degli altri requisiti, di tipo contributivo, richiesti.